Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2017
La metalmeccanica granaio d’Italia
Una sorta di “enorme granaio” per l’Italia, grazie alle sue attitudini di generare inventiva, occupazione e valore aggiunto. Così Vittorio Valletta aveva definito la nostra industria metalmeccanica, quando era stato interpellato, durante i lavori dell’Assemblea costituente, su quali leve avrebbe potuto contare il nostro Paese per costruire il suo futuro economico.
Che anche altri fossero dello stesso avviso, lo dimostrò il fatto che venne istituito l’anno dopo, nell’autunno 1947, il Fondo per il finanziamento dell’industria meccanica, al fine appunto di accrescere e valorizzare al meglio le risorse e la vocazione propulsiva di questo settore che coniugava il “saper fare” con la tecnologia.
E ciò in sintonia con un accordo stipulato con l’Export-Import Bank per un prestito tale che consentisse alle nostre imprese l’acquisto negli Stati Uniti di materie prime e di determinate attrezzature necessarie per riattivare la produzione.
Da allora il settore metalmeccanico ha agito, con i suoi molteplici generi di lavorazione e con un complesso di addetti (fra tecnici e maestranze) proporzionalmente più numeroso rispetto a quello di altri comparti, alla stregua di un motore del nostro sviluppo industriale all’epoca del “miracolo economico” e, successivamente, da incubatore del processo di acclimatamento e diffusione di tante piccole e medie imprese.
Inoltre uno dei suoi principali tratti distintivi è consistito, fin dai suoi esordi, nell’abbinamento fra cultura tecnica e progettualità, fra innovazioni di processo e innovazioni di prodotto.
Tanto che nell’immaginario collettivo il sistema di fabbrica e alcuni beni realizzati dall’industria metalmeccanica (a cominciare dall’automobile) vengono considerati come altrettante espressioni per eccellenza di progresso e modernità, di evoluzione e creatività.
Oggi, all’epoca della quarta rivoluzione industriale, il comparto metalmeccanico sta vivendo una fase complessa e decisiva, consistente nella transizione verso l’interconnessione digitale e l’intelligenza artificiale. Secondo il presidente di Federmeccanica Alberto Dal Poz «assisteremo da una parte al venir meno di alcune mansioni soppiantate dalle macchine e da sistemi intelligenti e, dall’altra, all’emergere di inedite opportunità per una nuova generazione di lavoratori. Uomini e donne preparati e capaci di conciliare un’elevata dimestichezza nei confronti dei contenuti digitali con la manualità tipica degli specialisti della metalmeccanica degli ultimi trent’anni».
A giudicare dai risultati raggiunti finora, questo settore manifatturiero seguita a svolgere un ruolo strategico nell’ambito della nostra economia: tanto per quanto riguarda l’utilizzazione dell’elettronica e dell’informatica che per quanto attiene alle potenzialità del made in Italy, col volume e valore delle sue esportazioni in fatto di mezzi di trasporto, macchine utensili, prodotti di precisione, robot e vari altri congegni.
In particolare, quello in corso nel campo dell’automazione è un vero e proprio salto di qualità, poiché comporta l’intreccio fra teoria dei sistemi, scienza dei materiali, meccatronica e ingegneria del software.
Ma affinché possa compiersi questo passaggio verso il Piano Industria 4.0 è essenziale che non s’interrompano quegli incentivi per l’implementazione del settore dei beni strumentali e degli impianti connessi, che hanno agito finora da iniezione e da spinta per un maggiore dinamismo e slancio competitivo.
Inoltre è in corso una partita altrettanto importante. Ed è quella riguardante, come afferma Dal Poz, il «rinnovamento delle relazioni industriali proposto da Federmeccanica e condiviso con i principali sindacati di categoria», che può contribuire anche a «riaprire la relazione tra i giovani e il lavoro».
Di fatto, se ripartirà il mercato interno l’industria metalmeccanica, che già occupa un posto centrale nel campo delle esportazioni, tornerà ad esercitare in pieno una funzione trainante per l’intera economia italiana.