Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2017
Perché diciamo no alla moneta fiscale
Quando due terzi delle forze politiche, almeno sulla carta, sono favorevoli all’introduzione di una valuta parallela, questo non può che preoccupare.
Quando poi un dettagliato “punto di vista” economico della Banca d’Italia stronca questa idea e nessun giornale lo riporta, questo preoccupa ancor di più.
Cosa ha detto la Banca d’Italia? Con dovizia di riferimenti normativi, la Banca d’Italia ha fatto varie considerazioni. La moneta fiscale non avrebbe corso legale, ma solo una funzione di riserva di valore e quindi sarebbe del tutto simile a un titolo di Stato (qualcuno la chiama infatti mini-Bot). Se uno Stato decidesse di eseguire i propri pagamenti in valuta diversa dalla moneta legale si prefigurerebbe una violazione dei Trattati europei. Probabilmente avrebbe «negative ripercussioni di carattere reputazionale presso i potenziali sottoscrittori dei titoli di debito pubblico». Per usare parole meno caute e attente, si scatenerebbe una crisi finanziaria.
La banca centrale ha anche detto chiaramente che la moneta fiscale «avrebbe un minore grado di liquidità nelle transazioni diverse dal pagamento delle tasse» e quindi verrebbe scambiata con «uno sconto sul valore facciale» e comporterebbe «ulteriori costi aggiuntivi rispetto quelli pagati per l’emissione dei titoli di Stato». Di conseguenza, fornitori e dipendenti «ove costretti ad accettare in pagamento la moneta fiscale, subirebbero una riduzione del loro reddito, essendo pagati con uno strumento di minore valore rispetto alla moneta legale negli scambi successivi». Inoltre, la moneta fiscale rappresenta «una passività del Governo sin dal momento in cui è emessa, così come i titoli di Stato». E quindi, «trattandosi a tutti gli effetti di passività dello Stato, tali strumenti potrebbero essere emessi solo rispettando i vincoli riguardanti il deficit e il debito pubblico imposti dal Patto di stabilità e crescita».
Noi ci permettiamo di sollevare alcuni punti aggiuntivi, molto più fondamentali e non detti dalla Banca d’Italia. Sia pure su scala ridotta (ma questo sarebbe tutto da vedersi), si produrrebbero gli stessi effetti di un’uscita dall’euro, cioè Italexit.
Con l’immediato deprezzamento della nuova moneta fiscale, le imprese o aumenterebbero i prezzi oppure avrebbero una diminuzione dei lori introiti, e quindi il rapporto tra il loro reddito e il loro debito denominato in euro peggiorerebbe. Anche lo Stato si troverebbe comunque a dover ripagare il debito pubblico esistente in euro a fronte di entrate denominate nella nuova moneta fiscale (che secondo alcuni dovrebbe essere addirittura data gratuitamente ai cittadini). Anche se una ridenominazione del debito potrebbe essere teoricamente possibile si configurerebbe come un default. Le maggiori imprese non sarebbero comunque in grado di farlo per il loro debito e, se lo facessero, i creditori esteri potrebbero appropriarsi dei loro beni, quantomeno quelli all’estero. Molte imprese finirebbero in bancarotta.
E le banche? I depositi esistenti sono denominati in euro. Con l’adozione della doppia valuta, qualsiasi tentativo da parte del governo di modificare la denominazione del debito pubblico o il debito dei residenti nei confronti delle banche porterebbe il valore delle attività in euro ben al di sotto di quello delle passività, e quindi a una potenziale insolvenza. Vedendo questi sviluppi, i depositanti non perderebbero tempo e sposterebbero i loro depositi all’estero, determinando una vera e propria fuga di capitali e il panico.
L’emorragia potrebbe essere contenuta solo con l’introduzione di limitazioni nei movimenti di capitale, ma questo, al di fuori di un programma di assistenza europea, non sarebbe coerente con una piena partecipazione all’Unione monetaria europea. Oppure potrebbe essere limitata se la Banca centrale europea fosse disponibile ad agire come prestatrice di ultima istanza per le banche. Oppure ancora se fosse presente un’efficace assicurazione nazionale e/o europea sui depositi. Per dirla in modo leggermente diverso, nel contesto europeo la Bce/Mvu e le autorità europee avrebbero, in pratica, un potere di veto. Qualsiasi tentativo di adottare una valuta parallela si trasformerebbe rapidamente in un’espulsione forzata dall’euro. Quindi la moneta fiscale non servirebbe neppure come arma di pressione politica a Bruxelles o “Piano B”.
Anche l’idea di rendere la doppia circolazione quantitativamente limitata non tiene. Se la circolazione fosse per importi piccoli, non varrebbe la pena correre tutti questi rischi e il limite oltre il quale si produrrebbero gli effetti indicati non è quantificabile ex ante.
Per tali ragioni, l’idea di adottare unilateralmente una moneta fiscale in un Paese vulnerabile come l’Italia semplicemente non è una proposizione sostenibile.
L.Codogno@lse.ac.uk
C.A.Goodhat@lse.ac.uk
Dimitrios.Tsomocos@sbs.ox.ac.uk