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 2017  dicembre 16 Sabato calendario

La battaglia per la neutralità del web. Ma la rete non può essere un far west

La Federal Communications Commission americana ha abrogato le norme, in qualche modo assemblate dall’amministrazione Obama, sulla cosiddetta «net neutrality», tema astruso di tecnologia e diritto che parecchi cittadini ignorano, salvo poi saltare sulla sedia a casa leggendo tweet minacciosi «Ora pagheremo caro per andare online!».
Il lettore non si emozioni, almeno subito, e rifletta invece su quel che sta accadendo e accadrà, perché le conseguenze del voto Fcc potrebbero essere, in futuro, importanti. Contrariamente a quel che amiamo pensare, il web non ha nulla di etereo o immateriale, i nostri messaggi, video, pensieri, corrono su infrastrutture fisiche, cavi, server, centri dati e satelliti, raffreddati 24 ore su 24, in un sistema che passa via terra, mare, spazio. Nell’epoca del “web neutrale”, chi possedeva in concreto le vie informatiche su cui comunichiamo aveva il dovere di metter tutti «alla pari», il ragazzo che dal garage lancia il blog che leggerà solo il suo amico dell’isolato accanto, come Amazon, Google e Netflix. Per questo gli ultimi paladini di Internet libera come la foresta di Robin Hood minacciano proteste e temono che la libertà del web sia finita. Non è così, la partita resta aperta e orientarsi sul tema richiede calma e testa fredda.
La scelta della Fcc premia chi controlla la rete, le aziende telefoniche, in America AT&T, Verizon, Sprint, T-Mobile, e danneggia chi invece sulla rete promuove, gestisce o vende contenuti o video, Facebook, Amazon, Netflix, Google. Almeno in teoria, è adesso possibile che si immagini un web a più velocità, chi paga un canone fisso vola, chi resta sul gratuito di base scarica un film in due ore. Ma sarà davvero così? O i «content provider» useranno il nuovo campo libero per pacchetti ad hoc con i propri clienti, così da gestire abbonamenti e utenze senza limiti? Il tema è difendere concorrenza e innovazione, costringere i giganti del web, telefonici o social, a non gestire monopoli incombenti, ma a rinnovarsi aprendo spazio per nuovi protagonisti. Per questo l’Attorney General dello Stato di New York, Eric Schneiderman, annuncia di volere sfidare in tribunale la decisione Fcc, appoggiato da altri 16 Stati in cui la tecnologia crea valore e lavoro, in testa la California. I giudici dovranno esprimersi su un tema intricato, dove diritti civili, libertà di parola e concorrenza sul mercato si contraddicono, ed è facile prevedere una battaglia che risalga fino alla Corte Suprema. Molto meglio allora che sul tema si esprima il Congresso, regolando la vicenda, con il suo corollario immediato «dove pagano le tasse i giganti del web?», ma servirebbe una decisione bipartisan, unitaria, e l’aria di consenso alla Camera e al Senato Usa è per ora poca e mefitica.
Il concetto di neutralità del web, creato a inizio secolo dal professor Tim Wu, va aggiornato, dopo venti anni di tumultuosa crescita dell’online. Come scrive la studiosa Zeynep Tufekci non possiamo insistere nel 2017 sull’idea arcadica del web «regno dei buoni». Il web è la realtà con cui il nostro tempo si esprime, in politica, in cultura, economia e nella vita personale e familiare, e i suoi protagonisti vanno inquadrati e regolati, senza Far West ma neppure illusioni sul Buon Selvaggio digitale. Il voto 3 a 2 alla Fcc, ora diretta dal presidente Ajit Pai, critico della net neutrality, non chiude dunque la questione, la rimette solo all’ordine del giorno e apre una campagna che durerà per anni. Seguitela, perché riguarda le vostre notizie, mail, i vostri film, la musica, lo sport e quel libro che ci ripromettiamo di leggere online sotto Natale.
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