Libero, 14 dicembre 2017
Il «parroco» Verdiglione riapre la sua chiesa
Torna Armando Verdoglione. Psicanalista editore, noto negli anni 80 nel bene (convegni, libri, portò Borges in Italia) e nel male (14 anni di carcere per reati vari), oggi esce con vari libri da Il bilancio di guerra a La rivoluzione dell’imprenditore. Di seguito l’incontro con Vittorio Feltri del febbraio 1987 pubblicato sul «Corriere della sera»
Un anno fa, di questi tempi, prima che fosse arrestato, lo incontrai nella villa Borromeo, a Senago, fastosa dimora sospettata d’essere cenacolo di imbrogli: Armando Verdiglione, presidente della Fondazione recante il nome di se medesimo, apparve in un immenso salone foderato di velluti purpurei, sontuosamente decorato. C’erano libri sparpagliati, poltrone morbide, odore di legno e di vernice fresca.
Ebbi l’impressione di trovarmi in una reggia provvisoria, ma lui, il Principe, non aveva l’atteggiamento né l’aria d’un precario. Anzi, quando gli domandai se udiva in lontananza il tintinnio sinistro delle manette, sorrise. «Ho la coscienza pulita» disse «non possono farmi nulla perché nulla ho fatto che non fosse e non sia lecito». Aveva torto marcio: la galera l’ha provata, due volte condannato.
Adesso che ce l’ho di nuovo davanti, cerco di capire se l’uomo è cambiato, se si porta addosso i segni dell’umiliazione, se non della sofferenza. Forse è meno spavaldo. Ma no, non lo era neanche allora. Un po’ invecchiato? Succede a tutti. Meno curato nella persona? Oggi, come ieri, è impeccabile, eccessivamente. Gessato grigio, camicia bianca che sembra inamidata, gemelli d’oro, scarpe brillanti come quelle della réclame del lucido. È cortese, ospitale, disponibile. Siede a un tavolo carico di volumi. Che fine ha fatto la villa di Senago? «Per ora dice sospirando preferisco qui«. Non pensate a un tugurio. La casa è al secondo piano d’un palazzo sobrio in via Montenapoleone 20, la più elegante di Milano.
Tra queste mura ha trascorso sette mesi di arresti domiciliari e per ingannare il tempo ha scritto tre libri: Processo alla parola, Lettera all’eccellentissima Corte d’appello, Quale accusa?, nei quali racconta la sua storia, «la disavventura di uno psicanalista» precisa l’autore «che si è macchiato di un grave crimine in un Paese dove la gente è abituata a scodinzolare: è andato controcorrente, ha rifiutato i luoghi comuni, il conformismo». Già, ma ha anche alleggerito le tasche a chi si rivolgeva a lui per avere un aiuto. Come quel dentista che ha dato il via all’inchiesta con una denuncia, da cui emerge che Verdiglione non esigeva il saldo della parcella, ma pretendeva che i frequentatori del suo studio facessero molto di più: per esempio sottoscrivere quote della Fondazione, non due lire, milioni e milioni. Insomma professore, chi si sdraiava sul lettino non perdeva soltanto le nevrosi ma anche il patrimonio.
«Favole» risponde, imperturbabile». «Pettegolezzi. Chiacchiericcio da portineria. Nella rozza requisitoria del pm non sono state raccolte prove, ma insinuazioni. Non ho mai intascato un soldo e nessuno è stato in grado di dimostrare il contrario. Piuttosto, mi hanno considerato responsabile di episodi che non mi riguardano».
Non è facile capire che cosa sia successo, le carte processuali sono nebulose, perché fosca è la materia, sfuggenti i protagonisti: si ha la sensazione di avere a che fare con una vicenda di streghe, fattucchiere, sortilegi, misteri.
Le spiace spiegare, Verdiglione?
«Alcune persone che erano state con me hanno svolto qualcosa in proprio, e non è escluso che siano state scorrette. Ma io che ne so? Non erano miei dipendenti. Bene, siccome da me esse hanno appreso determinate nozioni, ecco, i giudici sostengono che la colpa delle loro colpe, ammesso che ne abbiano, sia mia».
E la danza dei quattrini, le evidenti e ostentate ricchezze della Fondazione?
«Finanziamenti spontanei, e frutto del lavoro. Molti hanno aderito alle nostre attività perché ci credevano. È vietato appoggiare chi fa cultura?»
In appello hanno confermato, suppergiù, la pena di primo grado: 4 anni e due mesi. Però le è stata concessa la libertà provvisoria. Come la userà?
«Per studiare, scrivere, mandare avanti i progetti di sempre che non sono legati alla speculazione, ma al desiderio di approfondire i problemi».
Alla lettura del verdetto, lei ha annunciato che continuerà la sua battaglia per la democrazia. Con quali armi?
«Con la parola e il pensiero, che nessuno può annientare. L’inquisizione laica, che è lottizzata, divisa per bande, incolta, ha sposato alla cieca la tesi che esiste la malattia mentale; e mi ha accusato di circonvenzione di incapace e estorsione, supponendo che il rapporto di transfert, cioè il feeling tra analista e analizzato, sia paragonabile a quello tra un cervello superiore e un deficiente. Io penso invece che gli uomini siano tutti uguali e siano liberi di agire autonomamente. Prendiamo il famoso dentista. È regolarmente iscritto all’ordine dei medici, ha un ambulatorio, dei pazienti: affermare che io l’abbia circonvenuto, equivale a etichettarlo come essere inferiore, incapace di decidere. Le pare possibile? C’è o no del razzismo in questo? Quello che mi attribuiscono è un reato di opinione: dato che il mio metodo è insolito, e prescinde dalle facili classificazioni (sano e pazzo), rifiuto gli psicofarmaci e la psichiatria, si sforzano di togliermi di mezzo».
Che interesse avevano i giudici a condannarla?
«Quelli di secondo grado erano ben disposti, sapevano che sono innocente. Ma non hanno avuto il coraggio di smentire i colleghi del tribunale, né della procura. C’è il referendum alle porte, modificare il giudizio sarebbe stato un incoraggiamento a votare in un certo modo».
Su che si basa il ricorso in cassazione?
«Sul non doversi procedere. Ripeto: è assurda, inconsistente l’accusa di circonvenzione. Si mettono forse in prigione i parroci che ricevono donazioni per la Chiesa? Anche loro conversano coi fedeli eppure non ci si sogna di sospettare che li circuiscano, proprio perché è assodato che fra coloro che danno e coloro che ricevono la relazione è di tipo paritario. Nel mio caso, per di più, non ottenevo uno stuzzicadenti, al massimo era la Fondazione che si giovava della sottoscrizione di quote».
È vero che farà l’onorevole?
«Calma. Per collaborare a rendere migliore la giustizia sono disposto a percorrere il sentiero della politica. Ma sono soprattutto uno studioso, più a mio agio in biblioteca che sulla tribuna».