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 2017  dicembre 15 Venerdì calendario

Beaubourg, Piano e Rogers tornano sul luogo del delitto. Al Centre Pompidou ricordando 50 anni fa, quando giovani architetti si aggiudicarono il progetto

«Gentili ma insopportabili». Li trovava così Robert Bordaz, direttore del Centro Georges-Pompidou, in quei sette lunghi anni di costruzione del Beaubourg, come lo chiamano i parigini. Eccoli Renzo Piano e Richard Rogers: sono ritornati insieme sul luogo del «crimine», quarant’anni dopo l’inaugurazione dell’«astronave». Vagano sorridenti tra la scala mobile che corre all’esterno, gli spazi modulabili e la mostra appena inaugurata al quinto piano su quell’avventura, polemiche dell’epoca comprese. «Sì, eravamo due ragazzacci», ammette l’architetto italiano.
Correva il 1971. Al concorso internazionale per il nuovo centro culturale erano stati presentati 681 progetti. Piano aveva 33 anni, Rogers 37. Lavoravano insieme a Londra. E, diciamolo, non erano conosciuti. «Mi chiamarono mentre mi trovavo a Genova – ricorda Piano –. Mi dicevano in francese che ero «lauréat». Ma io ribattevo che mi ero già laureato anni prima al Politecnico di Milano. Non capivo bene il francese. Ci misi un po’ a capire cosa significava quella parola: eravamo i vincitori».
«Avevamo fatto qualcosa che era fuori di testa», aggiunge. E il brasiliano Oscar Niemeyer spiccava nella giuria, mentre Jean Prouvé presiedeva: ingegnere, costruttore e designer, ma non architetto. Un personaggio controcorrente: s’innamorò della proposta dei due ragazzacci. «Dobbiamo molto anche a Georges Pompidou e alla moglie Claude, che ci sostenne tantissimo. Il presidente era politicamente un conservatore ma voleva dare una risposta alle esigenze scaturite dal ’68. Bisognava aprire i centri culturali, rimasti troppo chiusi. In precedenza André Malraux aveva lanciato il progetto di una “casa della cultura” in ogni città. Conservatore pure lui, ma illuminato, come Pompidou».
Oggi Piano vive gran parte dell’anno a Parigi, vicino al Beaubourg. «Ci passo quasi tutti i giorni davanti. E mi sorprendo sempre non tanto di averlo fatto ma che ce l’abbiano lasciato fare». Portatori di un’utopia? «Noi il maggio ’68 non l’avevamo vissuto, ma pure a Londra erano anni particolari». Fecero ricorso anche a qualche «furbata». «Le grandi travi metalliche della struttura le produsse Krupp in Germania. Ma si trattava di un progetto pubblico, era imbarazzante. E allora arrivavano di notte: con i camion ci mettevamo due ore per coprire pochi chilometri da Porte de la Chapelle fin qui».
Quanto ai colori delle strutture visibili esterne, «dicemmo che li imponeva un codice dello Stato: l’azzurro per l’aria, il verde per l’acqua, il giallo per l’elettricità, gli elementi in movimento rossi. Ma il testo in realtà non esisteva». Si considerano «ancora oggi come due fratelli», ricorda Piano. Rogers, che è nato a Firenze (per poi lasciarla da bambino, allo scoppio della seconda guerra mondiale), ricorda che l’idea della piazza pedonale in discesa venne loro «da una passione comune per i centri storici, dalla formazione umanistica che abbiamo in comune. Il fantasma della piazza del Campo di Siena aleggia sul Beaubourg».
Intanto, per Piano le avventure parigine non si sono esaurite. Nei prossimi mesi sarà inaugurato il nuovo Tribunale, grattacielo da lui disegnato, alle porte della città, verso la banlieue nord. «Qui al Beaubourg volevamo sostituire la macchina urbana al monumento di marmo. Lì, invece, l’idea è che la giustizia sia amministrata in un edificio luminoso e trasparente. L’architettura deve raccontare storie. E se sono interessanti, lo diventa anche quello che costruiamo».