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 2017  dicembre 14 Giovedì calendario

Quasi cinque milioni lavorano di domenica. Scontro sulle regole

«Siamo figli, non schiavi», ricorda Francesco durante l’udienza generale del mercoledì. Il Papa parla dell’importanza della messa della domenica ed inevitabilmente il suo discorso cade sulla necessità di riposare nei giorni di festa, argomento che negli ultimi giorni ha infiammato il dibattito politico. «L’astensione domenicale dal lavoro non esisteva nella società romana – ha spiegato – è un apporto specifico del cristianesimo. Fu il senso cristiano del vivere da figli e non da schiavi, animato dall’Eucaristia, a fare della domenica, quasi universalmente, il giorno del riposo». Del resto sostiene il Papa «che domenica è, per un cristiano, quella in cui manca l’incontro con il Signore?».
Prese di posizione molto forti come pure polemiche roventi su domeniche e orari dei negozi non sono certo nuove, dal referendum del 1995 che bocciò la deregulation proposta dai Radicali alle prime liberalizzazioni di Bersani (1998), sino a quelle di Monti del 2011 e agli sviluppi più recenti, come la campagna «Liberaladomenica» promossa nel 2012 da Confesercenti e Cei o la legge molto tribolata approvata nel 2014 dalla Camera. Nei fatti una controriforma, visto che introduce 12 giorni di chiusura e sei possibili deroghe, che una volta arrivata in Senato poi si è però arenata. A rispolverarla è stato l’altro giorno il candidato premier dei 5 Stelle Luigi Di Maio, ovviamente molto soddisfatto per le parole di Francesco, che ieri però è stato bacchettato da Susanna Camusso che lo ha accusato di aver scoperto in ritardo il problema.
Ma la querelle del lavoro domenicale non riguarda solo il commercio, anzi. Quello delle persone impegnate nei giorni festivi è infatti un esercito che sfiora i 5 milioni di addetti: 3,4 milioni di lavoratori dipendenti e un milione e 300 mila autonomi. Il grosso è certamente rappresentato dagli occupati nel terziario (688 mila che lavorano in alberghi e ristoranti, più i 579 mila del commercio), ma non sono di meno i dipendenti pubblici (686 mila tra sanità e sicurezza, più 329 mila della Pa), o quelli dell’industria (329 mila), dei servizi collettivi e alla persona (241.400), quelli impegnati nei trasporti (215.600) o nei servizi alle imprese (203.900). In media in Italia 2 lavoratori dipendenti su 10 sono impiegati anche nei giorni festivi. Non molti se si guarda alle statistiche: a fronte di una media Ue pari al 23,2% l’Italia col 19,5% si piazza infatti al 24esimo posto su 28 Paesi.
In gioco ci sono insomma posti di lavoro, interessi economici, diritti, questioni religiose e, morali, ma anche abitudini ormai consolidate dei consumatori. Ma giunti a questo punto, sembra molto difficile fare marcia indietro. Spiega Enrico Valdani, presidente del Cermes, il centro di ricerca su marketing e servizi della Bocconi: «Se tornassimo al passato metteremmo in crisi tutto il settore della grande distribuzione organizzata con impatti sull’occupazione molto rilevanti. Più che chiudere la domenica bisognerebbe farlo il lunedì ed il martedì, i giorni più morti visto che quasi il 670% degli affari ormai si concentra nei fine settimana».
Secondo Federdistribuzione per i punti vendita aperti tutti i giorni la domenica è infatti diventato il secondo giorno della settimana per ingressi e fatturato e pesa per il 17% nei punti di vendita food ed il 22% negli altri settori. «Nei weekend i retailer registrano in media un +120% di incassi rispetto ad un normale giorno della settimana» confermano da Confimprese, associazione che raggruppa le imprese del commercio moderno. Spiega il loro presidente Mario Resca: «Se tornassimo a normare le domeniche le nostre imprese perderebbero il 15% dei posti di lavoro». I 5 Stelle invece insistono e definiscono fallimentari gli effetti della deregulation visti i 7,7 miliardi di vendite retail in meno tra il 2010 e il 2016 non tutti attribuibili alla crisi o all’avanzate dell’e-commerce. Con la legislatura ormai agli sgoccioli molto difficilmente però la legge taglia-domeniche andrà in porto.