Il Messaggero, 14 dicembre 2017
La grande musica nel cuore di Roma
L’Opera di Roma si può oggi considerare, dopo un periodo piuttosto travagliato, veramente rinata e partecipe della vita culturale della città. Per molto tempo, dal Dopoguerra a oggi, questo non è stato. Anzi, è molto interessante cercare di cogliere gli elementi e i fattori che hanno determinato un lungo declino collegato a una sorta di inconsapevolezza e di discredito dei valori che un Teatro d’Opera deve portare in sé. Gli stessi valori che, in altri centri italiani e stranieri, hanno costituito invece proprio il punto di forza di una organizzazione culturale generale, fulcro a sua volta della dignità e della buona struttura di una città ancorata a una storia e una tradizione non contestabili.
L’ARCHIVIO
Ne fa fede l’eccellente e rimarchevole riorganizzazione generale dell’Archivio del Teatro dell’Opera, che ha un materiale documentario impressionante per qualità e quantità, tra i più vasti nel nostro Paese. Se oggi è possibile valutare in maniera esauriente i diversi patrimoni che costituiscono tutti insieme una testimonianza veramente unica e incomparabile nella storia d’Italia, questo è dovuto soprattutto alla struttura di un archivio attraverso il quale, per fare un unico e significativo esempio, possono essere catalogati e indagati adeguatamente qualcosa come undicimila bozzetti e figurini vari, per non parlare della possibilità, ormai totalmente coperta, di fruire di tutte le innumerevoli registrazioni sia audio sia video, queste ultime datate ovviamente dagli anni ottanta del Novecento in poi.
LA STORIA
Tutto ciò giustifica appieno la struttura innovativa di questo volume che ci restituisce la storia del Teatro dell’Opera di Roma con una sorta di colossale schedario grazie al quale le vicende, i personaggi, gli eventi, le manifestazioni, gli aneddoti per quasi un secolo e mezzo dal 1880, sfilano davanti ai nostri occhi in una sequenza che non trascura nessun momento cruciale, nessuna personalità rilevante, nessun momento degno di essere veramente ricordato e valutato. Sono le diverse fasi di una vicenda che fu certamente assai complessa, contraddittoria entro certi limiti e molto articolata, ma che può essere oggi finalmente vista in una sintesi che chiarisce e completa una visione complessiva di formidabile impatto per la storia della cultura italiana.
1880
L’articolazione del nostro libro è di cristallina evidenza. C’è prima la fase del teatro Costanzi, che dalla fondazione del 1880 termina nel 1926. Poi c’è la stagione del Teatro Reale dell’opera dal 1928 al 1946, anche questa gremita di personalità gigantesche e di eventi memorabili, basterebbe ricordare l’esecuzione del Wozzeck, per poi concludersi con il periodo dal 1946 ad oggi quando si può di nuovo parlare di un Teatro dell’Opera di Roma (anzi se ne parla per la prima volta con tale dicitura) e si comprende bene come questo periodo sia, in buona sostanza, interpretabile come una sorta di epitome di tutte le grandi tendenze dell’arte contemporanea nella nostra città dal punto di vista del teatro musicale beninteso, soprattutto se ci riferiamo alle scenografie e alle messe in scena, con una serie di memorabili presenze che tutte insieme ci danno una sorta di poderosa sintesi di esperienze e successi invero ragguardevoli.
LA RIGENERAZIONE
Il che non impedisce, però, di mettere chiaramente a fuoco le fasi di triste declino e quasi abbandono che pure ci sono state e che finalmente possiamo considerare definitivamente accantonate nella rigenerazione che il Teatro dell’Opera di Roma ha avuto negli ultimi anni e che abilitano, anzi pretendono, una pubblicazione come questa che invero stabilisce un punto della situazione, un bilancio e una prospettiva per il futuro esauriente e ottimale.
Certo quando Domenico Costanzi riuscì a realizzare il suo sogno di imprenditore e uomo di cultura creando a Roma il grande Teatro che per tanto tempo recò il suo nome, non prevedeva forse fino in fondo quale sarebbe stato il concreto cammino. Si trattò di una istituzione voluta da un privato, dotato di quello spirito del pubblico servizio che nella Roma post unitaria stava penetrando profondamente. E questo grazie alla volontà di una generazione intenzionata a stabilire sul serio le regole di funzionamento di uno Stato laico fondato proprio sull’esercizio della cultura e sul rispetto di una tradizione secolare. È interessante considerare l’ubicazione scelta per il Teatro, le sue caratteristiche architettoniche e urbanistiche e la componente ideologica sottesa a tutta l’operazione, che solo oggi possono essere considerati meglio compresi e meglio inquadrati nel giudizio e nelle conseguenti decisioni che hanno fortunatamente impresso una svolta positiva a queste vicende, come il nostro libro permette di capire e valutare adeguatamente.
LA STRUTTURA
In realtà la struttura conferita dal progettista, l’architetto milanese Achille Sfondrini, mirava a collegare armoniosamente l’edificio del nuovo Teatro a quella concezione altamente istituzionale con cui, a poca distanza dal Teatro stesso, stava sorgendo l’impianto del Ministero dell’Interno, il Ministero per antonomasia della nuova Italia. Erano forme che coniugavano una sorta di protorazionalismo di stampo anglosassone a una specie di schematica gabbia classicheggiante, riformulata però nei termini appunto di un criterio ufficiale e istituzionale del pubblico edificio destinato al benessere della cittadinanza, benessere di pari rilevanza e dignità sia se riferito alla politica e all’amministrazione, sia se riferito alla funzione culturale, educativa, formativa e ludica al contempo, di un popolo finalmente e tangibilmente unito.