la Repubblica, 14 dicembre 2017
L’amaca
Tre giovani scalatori fascisti hanno espugnato il monte Kenya, in memoria di prigionieri di guerra italiani che lo fecero nel 1943 per non morire di noia.
Hanno poi consegnato il loro gagliardetto all’ambasciatore italiano. Si ignora se sia seguito un cocktail (ho avuto uno zio diplomatico, ha passato la vita organizzando cocktail e partecipando a cocktail organizzati da altri). Non è noto se al seguito della spedizione ci fosse una troupe dell’Istituto Luce, con la virile voce dello speaker (dicitore) che sottolinea “la tenace ascesa dei valorosi, incuranti delle intemperie, fino al solenne momento nel quale il tricolore torna finalmente a sventolare sopra una vetta africana da sempre consacrata all’Italia, offrendo a quelle popolazioni primitive una speranza di civilizzazione”.
La notizia non sembra fare parte del rinnovato allarme per il proliferare del neofascismo, più o meno rapato e tatuato. Rimanda, piuttosto, a Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti, ovvero a quel tanto di arditismo maschile, fuori tempo e fuori luogo, che è, del fascismo, una componente decisiva.
Tetragono alla logica, alla storia, alla geografia (il tricolore sul monte Kenya è come un cammello a Varsavia), l’arditismo è però, in tempi di noia giovanile, una tentazione risorgente.
Si fissa l’orizzonte, si serra la mascella e si mormora: “Monte Kenya, l’Italia è al tuo fianco!”. A uno normale scapperebbe da ridere, a loro no.