Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 14 Giovedì calendario

Eni e Nigeria, prima richiesta dei pm: 5 anni e 140 milioni

Mercoledì prossimo saranno prosciolti o rinviati a giudizio per corruzione internazionale le multinazionali italiana Eni e olandese Shell, l’amministratore delegato Eni Claudio Descalzi, il suo predecessore Paolo Scaroni e un’altra pattuglia di imputati, ma intanto ieri hanno indirettamente già avuto un anticipo della sorte alla quale la Procura di Milano intende candidarli nell’eventuale processo con rito ordinario: infatti, nel filone con rito abbreviato scelto invece solo dai due mediatori nigeriano Emeka Obi e italiano Gianluca Di Nardo, ieri il neoprocuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro hanno chiesto alla giudice Giusi Barbara (che sentenzierà in primavera) la condanna dei due imputati a 5 anni di carcere, e la confisca di 120 milioni di dollari al nigeriano e di 20 milioni di franchi svizzeri all’italiano. Il rito abbreviato prevede udienza a porte chiuse, sicché non è possibile riferire il contenuto della due giorni di requisitoria sul miliardo e 92 milioni di dollari di prezzo versato nel 2011 da Eni e Shell su un conto ufficiale del governo della Nigeria per la concessione energetica «Opl-245», giacimento che l’allora ministro del Petrolio, Dan Etete, si era fatto assegnare dietro prestanome. Per l’accusa sarebbe stato il mediatore Luigi Bisignani a proporre a Scaroni l’intermediazione di Obi suggerita da Di Nardo. Descalzi avrebbe «personalmente tenuto i contatti» con Obi e con i 2 manager operativi Eni in Nigeria, Roberto Casula e Vincenzo Armanna, mentre quasi l’intero miliardo al governo sarebbe poi finito però in tangenti a politici e burocrati. Descalzi, «informato della richiesta di commissioni, e ricevendo da Bisignani indicazioni» sulla trattativa, avrebbe «coordinato con il suo omologo Malcolm Brinded in Shell la posizione delle due società, incontrando con Scaroni il presidente nigeriano Jonathan per definire l’affare». La posizione di Eni è invece che da una «approfondita indagine indipendente» non siano emerse prove di pagamenti Eni a funzionari nigeriani, e che la somma sia stata versata da Eni e Shell «direttamente su un conto intestato al governo, senza intermediari».