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 2017  dicembre 14 Giovedì calendario

Weinstein era anche il mio mostro

Harvey Weinstein è stato un cinefilo appassionato, un amante del rischio, un mecenate dei talenti nel mondo del cinema, un padre amorevole e un mostro.
Per anni, è stato il mio mostro.
Questo autunno, persone diverse mi hanno invitata a parlare di un episodio della mia vita che pensavo, per quanto doloroso, di essere riuscita a mettere da parte. Mi ero autoconvinta che fosse finita e che ero sopravvissuta; mi sottraevo alla responsabilità di parlare apertamente giustificandomi col fatto che c’erano già tante persone che stavano facendo luce sul mio mostro. In realtà, stavo cercando di risparmiarmi la fatica terribile di dover spiegare molte cose ai miei cari.
Una delle forze che mi ha dato la determinazione per portare avanti la mia carriera è stata la storia di Frida Kahlo. La mia più grande ambizione era di raccontare la sua storia. L’impero di Weinstein, che all’epoca era la Miramax, era diventato sinonimo di qualità, sofisticatezza e audacia. Era tutto quello che Frida rappresentava per me, e tutto quello che aspiravo a essere. Conoscevo superficialmente Harvey, tramite il regista Robert Rodriguez, con cui avevo fatto diversi film. Tutto quello che sapevo di lui all’epoca era che aveva un’intelligenza notevole, che era un amico fedele e un padre di famiglia. Mi chiedo se non sia stata la mia amicizia con Rodriguez – e Quentin Tarantino, e George Clooney – a salvarmi dallo stupro.
Il patto che facemmo inizialmente era che Harvey avrebbe pagato per avere i diritti sul lavoro che avevo già fatto. Come attrice, sarei stata pagata il minimo sindacale. Come produttrice, sarei stata citata nei credit ma non avrei ricevuto nessun compenso. Nella mia ingenuità, pensavo che il mio sogno si fosse realizzato. Aveva scommesso su di me, che non ero nessuno. Aveva detto sì.
Ancora non sapevo che adesso sarebbe toccato a me dire no.
No ad aprirgli la porta a tutte le ore della notte.
No a fare una doccia con lui.
No a lasciarlo guardare mentre mi facevo la doccia.
No a lasciare che mi facesse un massaggio.
No a lasciare che un suo amico nudo mi facesse un massaggio.
No a consentirgli di praticare sesso orale su di me.
No a spogliarmi nuda insieme a un’altra donna.
La parola «no» probabilmente era la cosa che più odiava. L’assurdità delle sue richieste andava dal telefonarmi infuriato nel cuore della notte per chiedermi di licenziare il mio agente, al trascinarmi fisicamente via dal ricevimento inaugurale del Festival di Venezia, che era in onore di Frida, per andare alla sua festa privata con lui e delle donne che credevo modelle, ma poi ho scoperto trattarsi di prostitute di alto bordo.
Quando alla fine si convinse che non mi sarei guadagnata il film nel modo che si aspettava lui, mi disse che aveva proposto il mio ruolo e il mio copione a un’altra attrice. Ai suoi occhi, non ero un’artista o una persona. Ero una cosa: non ero nessuno, ero un corpo. Sosteneva che non ero abbastanza famosa come attrice, ma per evitarsi noie legali (così la vidi io) mi diede una lista di compiti impossibili da portare a termine in tempi stretti: 1. Riscrivere il copione senza compensi aggiuntivi; 2. Trovare 10 milioni di dollari per finanziare il film; 3. Darlo in mano a un regista di primo piano; 4. Scritturare attori di grido per quattro dei ruoli minori.
Con meraviglia di tutti riuscii a fare quanto richiesto, grazie a una schiera di angeli che vennero in mio soccorso. La bravissima Julie Taynor accettò di fare la regista. Per gli altri ruoli, reclutai i miei amici Antonio Banderas, Edward Norton e la mia adorata Ashley Judd. Ancora oggi non so come abbia fatto a convincere Geoffrey Rush.
Quando cominciammo a girare, paradossalmente, le molestie sessuali cessarono, ma le sfuriate si moltiplicarono. A metà delle riprese, Harvey si presentò sul set lamentandosi del «monosopracciglio» di Frida. Pretendeva che eliminassi la sua zoppia, e criticò aspramente la mia performance. Poi chiese a tutti quelli che erano nella stanza di uscire, tranne me. Mi disse che l’unico atout che avevo era il mio sex appeal, e che in questo film non ce n’era traccia. Aggiunse che avrebbe interrotto le riprese, perché nessuno avrebbe voluto vedermi in quella parte. Era umiliante. Speravo che riconoscesse le mie qualità di produttrice, visto che oltre a soddisfare la sua lista di richieste avevo seguito la stesura del copione e ottenuto i permessi per usare i dipinti. Ma tutto questo sembrava non avere valore. L’unica cosa che aveva notato era che non ero sexy, nel film. Mi fece dubitare delle mie qualità di attrice, ma non riuscì mai a farmi pensare che non valesse la pena di fare Frida.
Mi offrì un’unica possibilità per continuare. Mi avrebbe consentito di finire il film se avessi accettato di fare una scena di sesso con un’altra donna. E doveva essere un nudo frontale.
Avevo capito che non mi avrebbe mai lasciato finire questo film se non gli avessi permesso di realizzare la sua fantasia, in un modo o nell’altro. Non c’erano margini per trattare.
Dovetti dire sì.
Arrivai sul set, il giorno in cui dovevamo girare la scena che avrebbe salvato il film. E per la prima e unica volta nella mia carriera, ebbi un tracollo nervoso. Non era perché dovevo fare una scena nuda con un’altra donna. Era perché dovevo fare una scena nuda con un’altra donna per Harvey Weinstein. Ma questo all’epoca non lo potevo dire. Dovetti prendere un calmante. Quando Harvey vide la versione montata, disse che non era abbastanza buono per farlo uscire nelle sale e che l’avrebbe dirottato sul mercato dell’home video.
Stavolta Julie dovette litigare con lui senza di me e gli strappò la promessa di farlo uscire in un’unica sala a New York, se lo avessimo testato con un pubblico e avessimo ottenuto un punteggio dagli 80 in su. Ottenemmo 85. Alcuni mesi dopo, nell’ottobre del 2002, questo film, sulla mia eroina e fonte di ispirazione, questo film che Harvey non aveva mai voluto fare, gli regalò un successo di pubblico che nessuno avrebbe potuto prevedere, e aggiunse alla sua collezione altre sei nomination agli Oscar, fra cui quella per la miglior attrice.
Spero che aggiungere la mia voce al coro di tutte quelle che finalmente stanno parlando a viso aperto possa far capire perché è tanto difficile, e perché tante di noi hanno atteso così a lungo. Gli uomini molestavano sessualmente le donne perché potevano farlo. Le donne oggi parlano perché, in questa nuova era, finalmente possiamo farlo.
Traduzione di Fabio Galimberti