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 2017  dicembre 14 Giovedì calendario

Lavorare nei festivi vale 9 miliardi di incassi in più

MILANO Una volta era il giorno del Signore. Da un po’ di tempo invece la domenica – complice la liberalizzazione del commercio del governo Monti e l’onda lunga degli acquisti online – è diventata la gallina dalle uova d’oro dello shopping nazionale. L’apertura festiva vale per un ipermercato il 20% di vendite in più rispetto a un feriale. Qualcosa come nove miliardi di entrate suppletive l’anno. E per questo non c’è Papa Francesco (e nemmeno Luigi di Maio) che tenga: la grande distribuzione ha già alzato le barricate per salvare il suo “gold sunday”. «Obbligarci a chiudere sarebbe una follia – dice tranchant Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione – Il mondo è cambiato. Amazon e i siti di e-commerce sono aperti 24 ore su 24 e sette giorni su sette». Lo shopping online cresce a ritmi vertiginosi (+28% a 12,2 miliardi nel 2017), vale il 5,7% della spesa degli italiani e non si ferma mai.
«Se vogliono bloccare noi – dice polemico e paradossale Mario Resca, numero uno di Confimprese – allora devono chiudere anche bar e ristoranti, aeroporti e autostrade».
Il settimo giorno, dice il Vangelo, anche Dio ha riposato. In Italia non è più così. La domenica è un giorno come gli altri per 4,2 milioni di nostri concittadini, costretti a timbrare il cartellino come in un lunedì qualsiasi.
Oltre 688mila operano nel turismo e nella ristorazione, tanti nella pubblica amministrazione (medici, pompieri e soldati). I “forzati” del commercio festivo sono 579mila «per oltre il 40% volontari», garantisce Cobolli Gigli e pagati da contratto in media il 30% in più. Vale la pena? Sì, dicono i diretti interessati. La domenica è il giorno più ricco della settimana sia per i negozi “reali” che per quelli online e vale circa il 17% delle vendite settimanali.
«Genera consumi, lavoro e entrate fiscali» sintetizza Resca «e nel caso degli outlet anche un indotto sul territorio importante», conferma Daniela Bricola, direttore di quello di Serravalle Scrivia (6,4 milioni di clienti l’anno) dove la domenica vale un 26% di presenze in più della media. Ergo, in un mondo fondato sui consumi, non può essere cancellata dal calendario commerciale. Altrove, in fondo stanno peggio: in Svezia il 47% dei dipendenti lavora regolarmente nei festivi, la media Ue è al 30% mentre in Italia siamo al 24%. Più di una Germania (22%) che è riuscita a conservare un’economia in ottima salute pur santificando le feste più degli altri.
Non è detto che sia un caso.
L’Ungheria ha abolito per decreto nel 2015 le domeniche lavorative, reintroducendole dodici mesi dopo per evitare un referendum chiesto dai consumatori in rivolta. L’anno sabbatico è passato però senza i contraccolpi vaticinati dagli uccelli del malaugurio: i consumi sono cresciuti, la spesa è stata spalmata sugli altri giorni della settimana e l’unica nota negativa è stata la perdita di 3mila posti di lavoro nel settore.
Statistiche che hanno convinto la cattolicissima Polonia in queste settimane ad approvare il bando del lavoro festivo, su proposta di legge di Solidarnosc.
Contro la liberalizzazione remano pure i negozi (il brodo di coltura dove i 5Stelle puntano a raccogliere consensi) che hanno pagato un prezzo salatissimo alla congiuntura astrale tra liberalizzazioni e crisi economica: la deregulation festiva – sostiene Confesercenti – ha spostato verso i big 7 miliardi di vendite, facendo crollare dal 29,8% al 26,8% la quota dei piccoli e costretto 96mila piccoli commercianti a chiudere i battenti tra 2011 e 2016. Anche per loro la domenica oggi è un giorno come gli altri.
Senza lavoro.