Corriere della Sera, 14 dicembre 2017
Froome, il doping dei misteri
Niente «frullate» in salita, niente tirate a cronometro a 50 all’ora. La sfida più difficile della carriera di Chris Froome si svolgerà tra qualche settimana, in perfetta solitudine, all’interno di un asettico laboratorio di Losanna, con temperatura e umidità controllate. Per una volta non conteranno velocità o watt ma regole d’ingaggio già in discussione tra lo staff medico-legale del corridore e quello della Commissione Antidoping dell’Uci.
Il quattro volte vincitore del Tour, dopo aver pedalato e sudato a lungo sui rulli per simulare lo sforzo di corsa, dovrà sottoporsi a un «test controllato di secrezione urinaria». L’esame (che ha pochi precedenti, tra cui quello dell’italiano Diego Ulissi) stabilirà se la quantità abnorme di salbutamolo trovata nelle urine dell’inglese (2000 ng/ml) lo scorso 7 settembre, dopo la 18ª tappa della Vuelta, è l’innocente frutto di un organismo specialissimo o il prodotto di una «sbronza» di Ventolin, di cui Chris potrebbe aver abusato per staccare Nibali sullo strappo di Santo Toribio. Proprio il giorno precedente era stato messo alla frusta dal siciliano e aveva dichiarato, appunto, grandi sofferenze per problemi respiratori.
Prima di fissare dei limiti legali all’inalazione del salbutamolo (massimo 800 mg in 12 ore oppure 1.600 in 24), l’Agenzia Mondiale Antidoping (Wada) ha verificato su centinaia di cavie che – se si sta alle regole – superare la concentrazione di 1000 ng/ml nelle urine è quasi impossibile. Per essere garantista su quel «quasi», la Wada ha concesso a chi dovesse andare oltre di poter dimostrare l’unicità del suo metabolismo. Froome dovrà inalare 16 puff di Ventolin (il massimo consentito, quattro volte quanto previsto dal foglietto illustrativo per chi ha un attacco di asma) e sperare che nella sua pipì risultino (più o meno) i 2000 ng/ml trovati alla Vuelta. Non dovesse riuscirci, sarà punito con una squalifica che dovrebbe oscillare dai 9 mesi per «negligenza» (come fu per Ulissi nel 2014) ai due anni per «colpa grave», come nel caso (2013) dell’hockeista kazako Solarov. Per uscire pulito e non cedere la Vuelta 2017 al secondo classificato (il poco amato Nibali), Froome dovrà ancora una volta dimostrarsi fisiologicamente unico. Come unico è il caso del salbutamolo, il principio attivo più diffuso in ambito pediatrico (Broncovaleas) per curare le bronchiti, il cui abuso fino a pochi anni fa era tollerato: da casi analoghi uscirono indenni Indurain, Rominger e Ullrich.
Sapendo che è impossibile proibirlo completamente (asma e bronchiti sono malattie professionali dei ciclisti) ma conscia anche di quanto possa migliorare le prestazioni, la Wada ha inventato un complesso e discutibile sistema per limitarne l’abuso. Secondo alcuni scienziati svizzeri (come Mangin e Saugy, che contestano il metodo) un mix di salbutamolo e disidratazione (tipico di una tappa di un grande giro) potrebbe portare a concentrazioni nelle urine addirittura di 8000 ng/ml. Ma i due (quotati) ricercatori sono riusciti a provarlo solo su un ciclista: la ricerca è stata rifiutata dalle riviste internazionali. E i casi di «fuori soglia», nell’alta percentuale di atleti che usa il salbutamolo quando respira male, sono rari.
Froome ha respinto l’avversità con il sorriso da sfinge. E pur sapendo della sua positività dal 20 settembre, non si è chiuso nel lutto registrando un video messaggio per annunciare la presenza al Giro. Al ciclismo toccherà essere terra di frontiera. La posta in gioco è alta: per Froome, per la corazzata Sky e per la credibilità di tutto il movimento.