Corriere della Sera, 14 dicembre 2017
Sala: sembra una persecuzione. Il Papa: Gesù Cristo oggi ha il nome dei Rohingya
Milano La storia è sempre la stessa, e cioè l’affidamento diretto il 23 ottobre 2013 all’azienda Mantovani di uno degli appalti (4,3 milioni di euro) per gli alberi di Expo 2015 da parte dell’ex amministratore delegato di Expo 2015 Giuseppe Sala e del suo braccio destro Angelo Paris: ma a essere rovesciato è il verso dal quale rileggerla, al punto che si passa da «omettendo Paris di riferire a Sala le violazioni» (testo dell’«abuso d’ufficio» contestato solo a Paris 6 mesi fa) all’invece attuale «Paris in concorso con Sala». È dunque non solo un cambio in corsa alla vigilia dell’odierna udienza preliminare sulla «Piastra» di Expo 2015, ma è proprio un radicale cambio di prospettiva quello che ieri, tornando sui propri passi, la Procura generale di Milano diretta da Roberta Alfonso ha notificato all’attuale sindaco di Milano. A Sala viene comunicato che l’accusa di «turbativa d’asta» sugli alberi – per la quale lo scorso 17 giugno aveva ricevuto un «avviso di conclusione di indagine» sulla fase iniziale dell’appalto degli alberi, e che poi però il 19 settembre era stata stralciata in conseguenza delle deroghe normative su Expo valorizzate dal penalista Salvatore Scuto e dall’amministrativista Stefano Nespor – adesso gli viene rispolverata attraverso la modifica in «abuso d’ufficio» nella fase finale di quell’appalto degli alberi. Per l’esattezza, nel medesimo «abuso d’ufficio» che in giugno, e sino a ieri, era contestato al solo Paris nell’assunto che avesse agito all’insaputa di Sala. Con il quale invece ieri i pg Vincenzo Calia e Massimo Gaballo lo qualificano «in concorso»: cioè complici nell’aver violato il Codice degli appalti che autorizza affidamenti diretti solo per servizi complementari e non per forniture; e nell’aver così propiziato alla Mantovani l’«ingiusto vantaggio patrimoniale» costituito dalla differenza tra l’esborso per Expo (4,3 milioni) e il «costo di gran lunga inferiore» (1,7 milioni) affrontato dalla Mantovani per far poi eseguire l’appalto ai subappaltatori.
Se in occasione della prima incriminazione (per «falso in atto pubblico» nella retrodatazione della sostituzione nel 2012 di due commissari di gara incompatibili) Sala si era autosospeso alcuni giorni e poi aveva confermato fiducia nella magistratura, affidandosi all’accertamento processuale sino a voler saltare l’odierna udienza preliminare per farsi giudicato in dibattimento con rito immediato il 20 febbraio, ieri tramite i propri legali il sindaco di centrosinistra usa invece una parola – persecuzione – riecheggiata tante volte ma da altri fronti politici. L’accusa della Procura generale, scrive la difesa di Sala, «si pone in evidente contraddizione con i giudizi che Anac, Avvocatura dello Stato e la Procura della Repubblica hanno precedentemente formulato, apparendo anomala al punto da sembrare persecutoria». Termine la cui pesantezza viene rincarata dall’evocazione difensiva di un «ormai pluriennale tentativo della Procura generale di individuare ipotesi di reato nell’attività che Sala ha svolto» in Expo quando «portò a termine un compito che a molti pareva destinato all’insuccesso».
Si aggroviglia così ancor più il già travagliato iter di questo procedimento «resuscitato» a fine 2016 dall’avocazione con la quale la Procura generale esautorò la Procura della Repubblica ritenuta inerte su Sala nell’era Bruti Liberati, e tolse il fascicolo ai pm che dal 2012 mai avevano indagato Sala e per altri inquisiti si erano visti negare dal gip l’archiviazione.
«G esù Cristo oggi si chiama Rohingya». Lo dice papa Francesco in un colloquio con i gesuiti di Myanmar e Bangladesh pubblicato su Civiltà cattolica. «Lo scandalo mediatico riguarda le banche e non le persone. Davanti a tutto questo dobbiamo chiedere una grazia: quella di piangere».
Che cosa si aspetta da noi?
«Credo che non si possa pensare una missione – lo dico non soltanto da gesuita, ma da cristiano – senza il mistero dell’Incarnazione. Il gesuita è colui che deve sempre approssimarsi, come si è avvicinato il Verbo fatto carne. Le sfide non sono dietro, sono avanti. In questo il beato papa Paolo VI ha aiutato molto la Compagnia, e il 3 dicembre 1974 ci ha rivolto un discorso che resta pienamente attuale. Dice, per esempio: “Ovunque, nei crocevia della storia vi sono i gesuiti”. E per andare ai crocevia della storia bisogna pregare!».
Molti media hanno detto che la sua visita in Myanmar è una delle più difficili. È così?
«Questo è un viaggio molto difficile, sì. Forse ha rischiato pure di essere cancellato, a un certo punto. Ma proprio perché difficile, dovevo farlo! Il Popolo di Dio è popolo povero, umile, che ha sete di Dio. Noi pastori dobbiamo imparare dal popolo. Perciò, se questo viaggio appariva difficile, sono venuto perché noi dobbiamo stare nei crocevia della storia».
Spesso lei dice che bisogna avere l’odore delle pecore. Alcuni di noi sentono l’odore dei rifugiati.
«Ho visitato finora quattro campi di rifugiati. Tre enormi: Lampedusa, Lesbo e Bologna. E là il lavoro è di vicinanza. A volte sono veri campi di concentramento, carceri. Io cerco di visitare, parlo chiaro, soprattutto con i Paesi che chiudono le loro frontiere. Purtroppo in Europa ci sono Paesi che hanno scelto di chiudere le frontiere. La cosa più dolorosa è che per prendere questa decisione hanno dovuto chiudere il cuore. E il nostro lavoro missionario deve raggiungere anche quei cuori che sono chiusi all’accoglienza degli altri. Queste cose non arrivano ai salotti delle nostre grandi città. Abbiamo l’obbligo di denunciare e di rendere pubbliche le tragedie umane che si cerca di silenziare».
Io vengo da una regione dove ci sono molte tensioni con i musulmani. Mi chiedo come è possibile prendersi cura delle persone che hanno questa tendenza al fondamentalismo.
«Guarda, di fondamentalismi ce ne sono dappertutto. E noi cattolici abbiamo “l’onore” di avere fondamentalisti tra i battezzati. È un atteggiamento dell’anima che si erge a giudice degli altri e di chi condivide la sua religione. È un andare all’essenziale – pretendere di andare all’essenziale – della religione, ma a un punto tale da dimenticarsi di ciò che è esistenziale. Dimentica le conseguenze. Gli atteggiamenti fondamentalisti prendono diverse forme, ma hanno il fondo comune di sottolineare molto l’essenziale, negando l’esistenziale. Il fondamentalista nega la storia, la persona. E il fondamentalismo cristiano nega l’Incarnazione».
Santità, grazie per aver parlato del popolo Rohingya. Sono nostri fratelli e sorelle.
«Gesù Cristo oggi si chiama Rohingya. Tu parli di loro come fratelli e sorelle: lo sono. Penso a san Pedro Claver, che mi è molto caro. Lui ha lavorato con gli schiavi del suo tempo. E pensare che alcuni teologi di allora – non tanti, grazie a Dio – discutevano se loro avessero un’anima o no! La sua vita è stata una profezia, e ha aiutato i suoi fratelli e le sue sorelle che vivevano in una condizione vergognosa. Ma questa vergogna oggi non è finita. Oggi si discute tanto su come salvare le banche. Il problema è la salvezza delle banche. Ma chi salva la dignità di uomini e donne oggi? La gente che va in rovina non interessa più a nessuno. Il diavolo riesce ad agire così nel mondo di oggi. Se noi avessimo un po’ di senso del reale, dovrebbe scandalizzarci. Lo scandalo mediatico oggi riguarda le banche e non le persone. Davanti a tutto questo dobbiamo chiedere una grazia: di piangere. Il mondo ha perso il dono delle lacrime. La sfacciataggine del nostro mondo è tale che l’unica soluzione è pregare e chiedere la grazia delle lacrime. Davanti a quella povera gente che ho incontrato ho sentito vergogna! Ho sentito vergogna per me stesso, per il mondo intero! Scusate, sto solo cercando di condividere con voi i miei sentimenti...».
Lei è venuto in Bangladesh, ha creato cardinale l’arcivescovo della capitale. Come mai questa attenzione?
«Nominando i cardinali, ho cercato di guardare alle piccole Chiese. Non per dare consolazione, ma per lanciare un chiaro messaggio: le piccole Chiese che crescono in periferia e sono senza antiche tradizioni cattoliche oggi devono parlare alla Chiesa universale. Sento chiaramente che hanno qualcosa da insegnarci».