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 2017  dicembre 13 Mercoledì calendario

Quote sui migranti, a Bruxelles è lite tra le istituzioni

BRUXELLES È scontro tra istituzioni europee, spalleggiate da due diversi blocchi di governi, sulla politica migratoria dell’Unione. Da un lato il presidente del Consiglio, Donald Tusk, mette da parte la neutralità propria del chairman dei vertici europei e di sponda con le capitali dell’Est prova a spazzare dal tavolo la riforma di Dublino, il testo che dovrebbe superare il sistema di ripartizione provvisorio dei richiedenti asilo tra i partner dell’Unione per dare spazio a un meccanismo permanente. Dall’altro la Commissione europea di Jean- Claude Juncker, il Parlamento e i Paesi favorevoli alla solidarietà come Italia, Germania, Spagna e Grecia.
L’altro ieri la riunione degli sherpa governativi chiamata a preparare il summit europeo di domani si è infiammata quando Tusk ha messo sul tavolo un testo in cui affermava: «La ripartizione si è dimostrata altamente divisiva e inefficace». In sostanza chiedeva ai leader che domani si troveranno a Bruxelles di archiviare le relocation e trovare un accordo depotenziato su Dublino. A quel punto i rappresentanti di diverse capitali hanno chiesto al polacco di rimangiarsi il passaggio e la riunione è durata più di otto ore. Lo scontro è emerso pubblicamente ieri quando il commissario Ue alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos, ha accusato Tusk di comportamento «inaccettabile e anti-europeo».
Il presidente del Consiglio è appoggiato da Visegrad, ovvero da Polonia, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca. Proprio i leader di questi paesi domani, prima del Consiglio europeo di fine anno che tratterà anche Dublino, incontreranno in un mini-vertice Gentiloni e Juncker. Il clima sarà teso, con il gruppo dell’Est che cercherà di cancellare la solidarietà interna all’Unione sui migranti rilanciando sul fronte esterno annunciando un contributo significativo al Trust Fund Ue per l’Africa, il fondo da 3,2 miliardi messo in piedi da Bruxelles per combattere le cause delle migrazioni finora finanziato dalla Commissione e da pochi governi, come quello italiano (102 milioni) e tedesco (che a sua volta domani dovrebbe annunciare un significativo aumento del contributo) mentre quelli dell’Est finora avevano fatto orecchie da mercante: basti pensare che l’Ungheria di Orban, che insiste per bloccare i migranti in Africa, aveva versato solo 50mila euro.
Nonostante l’imponente lavoro lanciato in Africa, Juncker non vuole rinunciare alla riforma di Dublino e la scorsa settimana ha proposto una road map per portarla a casa a giugno suggerendo anche di depotenziare le quote, rendendole volontarie in tempi di flussi normali e obbligatorie solo in caso di emergenze. Ma nemmeno questa proposta piace ai governi dell’Est e a Tusk, sul dossier da sempre con loro ( a Bruxelles ancora si ricorda un litigio a porte chiuse con Renzi nel giugno 2015) nonostante sia l’acerrimo nemico del governo di Varsavia e del suo dominus politico, Jaroslaw Kaczynski. Ieri il sottosegretario alle Politiche Ue, Sandro Gozi, ha bocciato Tusk definendolo «presidente in cerca d’autore». Lo stesso Gentiloni ha ricordato che domani «sulle politiche migratorie l’Italia si presenterà al Consiglio europeo a testa alta».