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 2017  dicembre 09 Sabato calendario

Nello studio del dottor Freud la lavandaia sogna come Goethe

Dovessi definire il nuovo romanzo di Stefano Massini – magari in uno strillo da fascetta – sarei indeciso fra: «Un libro sotto falso autore» e: «Se L’interpretazione dei sogni fosse una serie televisiva, il copione sarebbe questo». Perché la figura (non dell’interprete, ma) dell’interpretatore dei sogni (cioè non colui che li inscena, ma li smonta e ricostruisce), in questo anomalo trattato di decifrazione del senso implicito nella sgangherata struttura delle storie (o della sequenza d’immagini, magari ricorrenti) che ci appaiono nella seconda serata della mente, non è citazione, espediente metaforico per eludere (chiamandolo in causa) il nome del padre della psicanalisi: no, qui la voce narrante, il redattore del registro dei sogni è proprio Sigmund Freud; e le storie che racconta, le sedute che governa, le riflessioni che eroga caso per caso, scena per scena, sono le storie e le intuizioni che l’autore del romanzo affida direttamente alla voce del medico viennese, quasi che Massini, in un abuso letterario condonato dalla qualità dell’opera finita, falsificasse la firma di Freud, arrogandosi il diritto di parlare con la sua bocca.
Siamo, insomma, davanti a una sorta di auto-intervista impossibile, che tenta una narrazione (condotta in diretta finzionale dall’officina freudiana) di quella che lo stesso Massini in una recente intervista ha definito «Una Bibbia della nostra contemporaneità, al pari del Capitale di Marx», vale a dire L’interpretazione dei sogni, l’opera che nel 1900 fonda la psicanalisi e condiziona alla radice il pensiero del ventesimo secolo.
Antica saggezza napoletana definisce il cinema «L’ammuina dint’ o lenzuolo» (dove ammuina è confusione e il lenzuolo lo schermo), figura che personalmente ho sempre trovato più consona alla dimensione anarchica del sogno che a quella, pianificata e strategica, del cinema. Se infatti il cinema è progetto autoriale che ha una struttura architettonica e dunque una tecnica, il sogno è disordine, scomposizione della trama e del montaggio, sequenza di gesti e di figure che millantano d’essere ciò che non sono. Il sogno non organizza ma dissemina, non rivela ma ammicca: è, per così dire, un racconto per inganni, giacché tutto (o quasi) quel che vediamo nei sogni è formato da immagini inaffidabili, che parlano d’altro o alludono al funzionamento di una raffinata drammaturgia interiore, capace d’invenzioni, associazioni e competenze linguistiche di cui, da svegli, non siamo neanche lontanamente capaci.
Mi pare che il romanzo di Massini tenti un ascolto di quell’ammuina, la ricerca di un metodo con cui scrivere uno spartito di quelle note confuse attraverso la forma del romanzo, un’occasione per accedere con curiosità e leggerezza al pensiero di un genio. La sua è una scrittura minuziosa, a tratteggio antico, naturalmente portata a suonare letteratura e teatro nella stessa scala armonica, scomponendo e rimontando le costruzioni oniriche di una cameriera, un militare, un’isterica che con inquieta lucidità si definisce «Un nome con due gambe sotto», un uomo che sceglie l’autoreclusione come strategia di difesa dal mondo e altri profili che di volta in volta vengono trattati con approcci diversi, dalla disponibilità problematica alla spietatezza della confutazione (memorabile il capitolo «Il sogno della claustrofobica», dove ogni asserzione della donna in cura, ogni sua pretesa d’imporre le proprie paure come presupposto indiscutibile del confronto, vengono passate al setaccio della logica e private di costrutto, in una progressiva espugnazione della fortezza d’angosce in cui la paziente si è arroccata).
«Il sogno» – scrive Massini/ Freud – «coincide con l’istinto geniale, poetico, che sta in ciascun essere umano, indipendentemente dalle sue attitudini artistiche. Sogna il garzone, sogna la lavandaia, sogna il macellaio, sognano il cocchiere e la maestrina, e il loro metodo onirico è identico a quello di un imperatore o di Goethe e Schopenhauer: procede con limpida genialità infantile». E sono appunto i sogni di tutti, anzitutto degli uomini non illustri di pontiggiana memoria, a costituire la materia d’indagine del Freud letterario di Massini, quasi a dirci che nella dimensione onirica si libera una creatività che annulla ogni differenza, ogni autorappresentazione, in favore di un’autenticità visionaria che ci rende ancora più uguali nel sogno che nella morte, quella conclusione ignota di cui, al contrario del sogno, non sappiamo nulla.