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 2017  dicembre 13 Mercoledì calendario

33 cinepanettoni che ci raccontano

Come eravamo, e ancora siamo. Ritratto dell’italiano medio in un film di 85 minuti composto dal puzzle di 33 pellicole girate dal 1983 a oggi: «Abbiamo raccontato per primi l’edonismo craxiano, anticipato il berlusconismo, spiegato il velinismo e la forza dei talk show, insomma tutto ciò che ha volgarizzato il nostro Paese negli ultimi 35 anni. E mi sono sempre stupito che lo spettatore piegato in due dalle risate abbia sempre pensato che la satira riguardava chi era seduto accanto al cinema. E non lui...». 
Il produttore Aurelio De Laurentiis, con la sua Filmauro, presenta così Super Vacanze di Natale, film-compilation in uscita nelle sale domani, sintesi di 33 cinepanettoni che hanno totalizzato 400 milioni di euro di incassi coinvolgendo 200 attori, di cui almeno 50 volti internazionali, da Cindy Crawford a Bob Sinclair, da una giovanissima Belén Rodriguez a Victoria Silvstedt, mille e 100 ore di proiezione. 
Il genere, si sa, divide l’Italia tra chi lo considera un cult e chi lo detesta profondamente, tra chi non si perde una tappa e chi lo considera un male socio-culturale. Ma stavolta De Laurentiis padre (il figlio-socio Luigi è stato l’ideatore dell’operazione) rivendica che quel lungo racconto nostrano «è materia di studio in Irlanda ed è indicato nel Guinness dei primati come la serie più longeva del cinema mondiale».
L’operazione porta la firma dell’attore-regista Paolo Ruffini (scelto perché distante anagraficamente dalle radici del fenomeno) che in 34 settimane di lavoro ha estratto il succo del pop-trash ritrovando Christian De Sica, Massimo Boldi, Jerry Calà e Corinne Clery, Ornella Muti, Bo Derek, Anna Falchi (solo una minima manciata tra le decine e decine di nomi) ancora ragazzi ma già prototipi di tipologie umane destinate a durare nel tempo. 
Gli sfondi sono Cortina, Gstaad, New York, Rio de Janeiro, ciò che nutre l’immaginario collettivo legato alla ricchezza, al sesso, alla trasgressione. Ruffini sostiene di aver realizzato «un film di una scorrettezza meravigliosa, perché le parolacce non offendono mai, si ride all’insegna di una magnifica leggerezza». Volutamente non ha abbondato in nudi per mettere meglio a fuoco, dice, un pezzo di storia del nostro costume nazionale. 
Naturalmente restano frasi entrate nel lessico comune («Non sono bello, piaccio!», o «Anche questo Natale ce lo siamo levati dalle palle»), quel genere che ha disgustato la critica più raffinata, con l’eccezione di Tullio Kezich che nel 2005, sul Magazine del Corriere della Sera, paragonò Christian De Sica e Massimo Boldi a Totò e Peppino De Filippo. 
Ieri lo scrittore Andrea Minuz ha definito i cinepanettoni una metafora della lotta di classe per la capacità di dividere la Penisola tra chi li adora (e li cita) e chi li demonizza, vedendo nell’«altra» Italia quella da combattere. Tutti liberi di iscriversi a qualsiasi partito, ma i cinepanettoni sono un capitolo (impossibile da rimuovere) di una sintesi di italianità fatta di caratteri umani, gusti, mode, vizi, sessualità, ironia e sarcasmo. Può piacere o disgustare, ma è la verità.