Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 13 Mercoledì calendario

Esplode gasdotto in Austria. Prezzi a rischio per l’Italia

Esplosione in un impianto di gas in Austria, in uno dei principali snodi di distribuzione dalla Russia verso l’Europa. Effetti in Italia.
Se tutto andrà come sembra, con la ripresa del flusso dal gasdotto Austriaco annunciata per la mezzanotte di ieri, anche questa volta l’Italia l’avrà scampata. Ma l’esplosione a Baumgarten non fa che mettere in risalto l’antica debolezza del sistema energetico nazionale. Dal quale dipendono i riscaldamenti delle abitazioni e l’attività delle industrie. Premessa necessaria: l’Italia è un Paese di storica dipendenza, visto che il 90% del suo fabbisogno viene dall’estero. E il gas gioca un ruolo fondamentale: copre il 35% dei consumi nazionali e con esso si produce il 42% dell’elettricità. Logico che ogni incertezza faccia scattare parecchia apprensione.
La «regola N-1»Come è accaduto ieri: nei Paesi dell’Unione Europea vale la cosiddetta «regola N-1», incorporata anche nel «Piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale». Il che significa che se un’importante fonte di approvvigionamento si interrompe in modo imprevisto il ministero dello Sviluppo deve dichiarare lo stato di emergenza, saltando ovviamente a piè pari quelli di preallarme e di allarme. Ma è così rilevante il gasdotto che viene dalla Russia malgrado tutte le incertezze del passato (e quelle attuali inasprite dal regime di sanzioni dopo l’annessione della Crimea)?
Dalla SiberiaLo è, eccome: malgrado le crisi del 2006-07 e del 2009, quando il sistema nazionale è andato a un passo dal crac, l’import di gas dalla Russia negli ultimi anni è cresciuto. In un giorno lavorativo «normale» come lunedì scorso, il gas proveniente dai giacimenti siberiani della penisola di Yamal ha coperto poco meno della metà dell’import, circa 107 milioni di metri cubi sui 224 arrivati ai confini nazionali da altri quattro Paesi: Algeria, Libia, mare del Nord e Qatar (via nave sotto forma liquida fino al delta del Po). Senza dimenticare poi l’apporto della produzione nazionale, peraltro sempre più vituperata: alla fine del secolo scorso (il suo momento d’oro) copriva quasi un terzo dei consumi italiani, ora è abbondantemente sotto il 10%. Se si vuole un panorama su base annua, nel 2016 dalla Russia è arrivato il 40% del gas bruciato in Italia. Dall’Algeria, in passato primo fornitore, è giunto il 27%, dall’Olanda meno del 10%. Ce la farebbe il nostro Paese a cavarsela anche senza il gas russo per un lungo periodo?
Gasdotto insostituibileLa risposta può venire dalla «Strategia energetica nazionale 2017» approvata proprio poche settimane fa. Lì si legge che «nel caso di una sospensione totale e prolungata delle importazioni dalla maggiore delle fonti di approvvigionamento (ad esempio blocco o incidente rilevante dei gasdotti che attraverso Ucraina, Slovacchia ed Austria portano il gas russo in Italia), è molto difficile ipotizzare di poter approvvigionare circa 27-30 miliardi di metri cubi da fonti di approvvigionamento diverse, anche accettando (come è subito avvenuto ieri, ndr) un sensibile innalzamento dei prezzi». Difficile che le altre rotte del gas possano colmare un eventuale «buco» lasciato dalla Russia: in Libia la guerra civile tra le fazioni imperversa dal 2011; da Olanda e Norvegia non c’è da attendersi aumenti di produzione; con l’Algeria i rapporti non sono ottimali in vista di importanti scadenze contrattuali previste per il 2019; il Gnl adriatico lascia spazi di manovra limitati. Che altre soluzioni ha di fronte l’Italia?
Le alternativeIn attesa che la transizione verso le fonti rinnovabili sia in grado di sostituire il gas, che alternative ci sono? Intanto va considerato che il sistema italiano è quello che più in Europa può basarsi su ingenti riserve: gli «stoccaggi» (gas iniettato d’estate in vecchi giacimenti esauriti che servono da contenitori, pronti per essere chiamati in causa d’inverno) che proprio ieri sono entrati in funzione. Si tratta di 11,5 miliardi di metri cubi «commerciali» e di altri 4,5 miliardi «strategici», che ieri erano ancora pieni all’80%. E poi c’è il tema delle nuove infrastrutture. Non solo quella in arrivo dall’Azerbaigian, il famigerato Tap. Ma anche le prospettive che vengono dal Mediterraneo orientale, con i ritrovamenti nelle acque tra Egitto, Cipro e Israele. Ultima annotazione: l’Europa, e la Germania, con il progetto del raddoppio del Nord Stream 2 (il gasdotto baltico) non ci aiutano molto. Se tutto il gas russo poi passasse di lì, per evitare l’Ucraina, l’Italia finirebbe per pagarlo di più. Ecco perché, paradossalmente, ci potrebbe servire il Turk Stream. Sempre gas russo, ma dal mar Nero. Effetti della geopolitica.

Un morto e 21 feriti, di cui uno grave. Ed emergenza gas in mezza Europa, Italia compresa. Sono le principali conseguenze dell’incendio divampato ieri mattina, per cause di natura tecnica, a Baumgarten an der March, che ha causato un’esplosione nel principale centro di smistamento di gas in Austria. Una sorta di hub europeo, terminale del gasdotto di Urengoy-Uzhgorod che collega la Russia – e Gazprom – all’Europa e collettore di una rete di gasdotti secondari che portano il gas a Francia, Germania, Europa dell’Est e, grazie alla Trans-Austria gas pipeline (Tag), all’Italia, alla Croazia e alla Slovenia. Il Tag è l’unico di questi gasdotti non gestito da Gas Connect Austria — operatore del terminale di Baumgarten – ma dalla Tag GmbH che fa capo a Snam. Che ha dapprima assicurato che comunque il flusso per l’Italia sarebbe stato garantito dagli stoccaggi e poi che l’import potrà ripartire già nella notte tra martedì e mercoledì. In casi come questi, però, scatta automaticamente lo stato di emergenza. E il ministero dello Sviluppo economico non si è sottratto a questa regola «numero 1» dell’approvvigionamento energetico. La conseguenza di situazioni del genere è l’aumento del prezzo del gas. E Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, non ha mancato di sottolinearlo: «Quanto successo si inserisce in uno scenario che porta a un aumento generalizzato dei prezzi. Dipende da quanto durerà il problema». E ieri il prezzo all’ingrosso, in Italia, è quasi raddoppiato. 
Andrà oltre la durata del problema Austriaco, invece, la polemica politica nata non appena si è spento l’incendio di Baumgarten. «Se avessimo il Tap – ha spiegato il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda – non ci sarebbe emergenza per questa mancanza di fornitura». Il Tap è il Trans adriatic pipeline, il gasdotto che approderà in Salento, a Melendugno, a cui da tempo si oppone la Regione Puglia (anche con un ricorso al Tar che l’ha vista sconfitta). E il governatore Michele Emiliano non ha mancato di sottolinearlo anche ieri: «I fatti accaduti in Austria hanno dimostrato che le preoccupazioni della Regione Puglia hanno un fondamento evidente che ci obbligherà nei prossimi giorni a sottoporre alla Procura della Repubblica un esposto che mira a salvaguardare l’incolumità pubblica dalla incosciente decisione del governo di ritenere non assoggettabile alle direttive Seveso l’impianto Tap». In questa battaglia del «no» Emiliano è sostenuto dai grillini che ieri hanno tuonato da tutte le latitudini: Bari, Roma, Bruxelles: «È solo una fortuna che non sia successo in Salento». L’alternativa? Per l’eurodeputata Rosa D’Amato è il «potenziamento delle fonti rinnovabili». Che, però, non porterebbero i 10 miliardi di metri cubi di gas di Tap.