Corriere della Sera, 13 dicembre 2017
Emilia sott’acqua. A Colorno affonda la Reggia
Sull’Appennino emiliano domenica e lunedì ha piovuto come non avveniva da decenni. In alcuni punti, come alla stazione meteo di Cabanne, in val d’Aveto al confine con la Liguria, in 36 ore sono caduti 507,4 millimetri di pioggia (dati Allerta meteo Regione Emilia-Romagna). In quella zona la piovosità media annua è di circa 900 millimetri. Sui crinali più alti dove era nevicato, la neve si è poi sciolta rapidamente portando a valle un’imponente ondata di piena. Questo dato eccezionale si è trasformato in emergenza nella bassa pianura delle province di Parma, Reggio e Modena per problemi idrogeologici noti da tempo.
«Certo, ha piovuto tantissimo», conferma Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna. «Le situazioni di pericolo però sono conosciute e si possono riassumere in tre punti: il forte consumo di suolo negli ultimi 2o anni che fa arrivare nei fiumi più acqua di un tempo, territori fortemente antropizzati, pochi soldi per la manutenzione e per i controlli capillari sugli argini e l’intera rete fluviale».
L’Emilia-Romagna è attraversata da 56 mila chilometri di corsi d’acqua naturali ai quali vanno aggiunti 19 mila chilometri di canali di bonifica, la lunghezza totale degli argini è di 3 mila chilometri. «È chiaro che di fronte a questi numeri servono investimenti e manutenzione continua per mettere in sicurezza il territorio», prosegue Antolini. «La realtà, e questo è giusto dirlo alla popolazione, è che in zone come queste il rischio zero non esiste, è un’utopia».
Vero è che la pioggia scesa dal cielo in questi due giorni sul Nord Italia è stata davvero tanta. E che i cambiamenti climatici riportano in primo piano l’azione della natura. Ma nell’esondazione dei fiumi che ieri hanno provocato l’allerta in diversi Comuni dell’Emilia un po’ di responsabilità l’uomo ce l’ha pure. Un dato: è la quarta volta in otto anni che il Secchia fuoriesce dagli argini: era già successo nel 2009, nel 2014 e nel 2015.
Proprio per ovviare al problema, l’allora presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, nel 2014 aveva stanziato 100 milioni per lavori definiti «strutturali». Ma dopo quattro anni, appena il 20-30 per cento di quei soldi è stato speso. Eloquente la spiegazione data da un ingegnere dell’Aipo, l’Agenzia interregionale per il fiume Po, cui tocca il compito della gestione degli appalti e degli interventi sui fiumi emiliani. Gianluca Zanichelli, sintetizza così: «Purtroppo in Italia i tempi di approvazione dei progetti sono molto più lunghi di quelli di esecuzione». Tradotto: colpa della burocrazia. I progetti sono stati realizzati e finanziati. Il problema è che dopo 4 anni non sono stati né approvati né avviati. «Si deve fare i conti con mille sfaccettature che bloccano i lavori – aggiunge Zanichelli —. Espropriazioni, pareri delle Sovraintendenze al territorio, Comuni».
L’ingegnere Ivano Galvani, sempre di Aipo, fornisce un’ulteriore spiegazione: «In questi quattro anni abbiano dovuto riformulare i progetti alla luce dei cambiamenti climatici e della morfologia del territorio».
Fare lavori strutturali significa intervenire sugli argini sia in altezza che in larghezza. Se tutto va bene, dovrebbero partire nel 2018.