La Stampa, 13 dicembre 2017
Nel Venezuela in ginocchio non c’è più forza di protestare
Finite le elezioni municipali di domenica, e la vittoria del Psuv di Nicolas Maduro (ha conquistato il 92% dei Comuni), il Venezuela si risveglia come dopo una sbornia. Le vie di Caracas sono piuttosto vuote. Gli unici capannelli di persone sono le file davanti ai supermercati che vendono prodotti a prezzo regolato dal governo, e davanti ai distributori delle banche. Qui si possono ritirare appena 10.000 bolivares al giorno. Ufficiosamente una miseria. Perché in Venezuela esistono tre tassi di cambio. Quello ufficiale, garantito dal governo, è inverosimile ed è solo per la propaganda. Se voleste comprarvi un panino e pagare con carta di credito straniera, potreste arrivare a vedervi accreditato un esborso di 200 euro perché la vostra banca vi applicherebbe il cambio ufficiale.
Poi c’è il cambio parallelo, in nero. È quello che usano tutti. Fino a pochi mesi fa, variava settimanalmente. Ora cambia ogni giorno. Per un euro ricevete circa 100.000 bolivares. Fino a un mese fa voleva dire andare in giro con pacchi di banconote in tasca, anche per comprare un caffè. Oggi non ci sono più nemmeno quelle, perché non c’è più carta moneta. Tutto si paga con carta di credito e non si riesce più a fare l’elemosina, nemmeno volendo, a chi viene a chiedervi qualcosa per mangiare. In un Paese dove spesso i questuanti hanno la cravatta, perché sono gente normale, che proprio non ce la fa a tirare avanti, visto che l’inflazione divora il potere d’acquisto della valuta locale. Un venezuelano guadagna, se gli va bene, circa 0,90 centesimi di euro al giorno. Quando trova lavoro. Fatti i conti una persona vive con circa sei dollari al mese.
Il terzo cambio è quello di Cucuta, una città colombiana al confine. Per raggiungerla si attraversa un ponte oltre il quale si vanno a fare acquisti di generi di prima necessità. Secondo il governo la colpa dell’inflazione è della guerra economica fatta dai nemici all’estero. Ma le cause di questa crisi sono endogene. Il chavismo dimentica che negli anni di ricchezza poco o nulla si è fatto per costruire le infrastrutture necessarie. Tanto che l’elettricità di Caracas, nel Paese forse più ricco di petrolio al mondo, dipende dalla diga del Guri, nei pressi della capitale. Il Venezuela non ha un’agricoltura. Importa praticamente tutto e adesso, con il prezzo del petrolio giù, non ha più i mezzi per sostenersi. E la scelta di stampare moneta a rotta di collo è stata un suicidio.
Questa situazione ha fatto crollare la popolarità del presidente Nicolas Maduro ai minimi storici. Sarebbe stata una manna per l’opposizione se questa fosse esistita. Perché l’opposizione politica venezuelana, la stessa che questa settimana riceve il premio Sakharov per i diritti umani della Ue a Strasburgo, semplicemente non esiste più. I suoi leader sono stati «inabilitati», messi in stato di non potersi candidare alle presidenziali del 2018, o sono in galera, o fuggiti all’estero. Nessuno di quelli ricevuti dalle cancellerie di mezzo mondo ha credibilità in patria. Quelli che sono rimasti vanno in ordine sparso, contro Maduro, predicando l’astensione, o tacciono come Leopoldo Lopez, che dopo aver ottenuto gli arresti domiciliari non ha più aperto bocca. Diversi anni nel durissimo carcere militare di Ramo Verde sembrano averlo fiaccato. O forse è solo la speranza di poter tornare a candidarsi nel 2018.
Il governo finora non ha sbagliato un colpo, usando sapientemente il bastone e la carota. In televisione va in onda la sola propaganda governativa. Ai pochi media indipendenti non è stata rinnovata la licenza, i quotidiani non ricevono la carta (che gestisce il governo) e devono emigrare sul web. Niente sembra rimasto delle centinaia di migliaia di persone che fino a pochi mesi fa scendevano in strada per chiedere democrazia. Ora la gente esce di casa per cercare cibo, rovista nella spazzatura. Le ragazze carine sciamano attorno agli hotel o alle discoteche alla ricerca di danarosi turisti, che sono scomparsi. Perché Caracas è la città più pericolosa al mondo. Lo leggi nei volti stressati delle persone che incontri. Ti ammazzano per un telefonino da 50 euro o ti sequestrano anche solo per poche ore. E se la famiglia non paga il corpo viene ritrovato di lì a poco. In luoghi diversi. Qualcosa che al governo conviene. Una popolazione terrorizzata dalla criminalità non protesta. Cerca solo di sopravvivere. Anche l’iperinflazione che strangola il Paese conviene alla mafia che controlla il Venezuela. Produrre in bolivares, pagare salari da fame, e poi operare in dollari sui mercati internazionali porta a guadagni inconcepibili. Non è un caso che le massime autorità dello Stato siano sospettate di avere interessi nei campi più vari, dalle miniere al petrolio. Ma il controllo del regime è totale.
Per questo domenica sera, a reti unificate, Nicolas Maduro si è potuto permettere di affermare che «i partiti dell’opposizione sono scomparsi dalla geografia politica della nazione e non avranno il diritto di partecipare alle prossime consultazioni, visto che hanno promosso il boicottaggio del voto». Insomma, domenica sera Maduro ha sancito la morte della democrazia nel Paese. A reti unificate.