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 2017  dicembre 12 Martedì calendario

Negramaro: «Il nostro nuovo album è come una serie tv: non saremo mai i Pooh»

Se i Negramaro hanno un presente e, verosimilmente, un futuro, lo devono a questo disco. Forse anche per questo s’intitola Amore che torni (disco d’oro da una settimana), come un sentimento smarrito e poi ritrovato. Ma c’è sempre qualcuno disposto a dire a Giuliano Sangiorgi che il suo è un trucco, che è un solista travestito da band, che il disco da solo è lì pronto, dietro l’angolo. «Sì è vero, ogni tanto qualcuno lo dice, anzi me lo dice, anche direttamente, e io quando succede chiedo a mia volta: mi conoscete veramente?
Sapete veramente come stanno le cose?».
E a conoscerla meglio cosa potremmo scoprire?
«Che a otto anni avevo disegnato col pennarello sulla parete della mia stanzetta i personaggi di una ipotetica band, io mi mettevo davanti e facevo un concerto voce e racchetta da tennis, invece dell’amico immaginario avevo il gruppo immaginario.
La mia prima ragione della passione per la musica era l’idea di farla insieme agli amici».
Non le sembra un’idea quasi passata di moda?
«Può sembrare anacronistico, oggi sembra che nessuno voglia più fare una band, d’altra parte tutto è condivisione, ma sono tutti soli, un mondo di connettività sole, noi invece dopo vent’anni siamo ancora una band, eravamo io e questi altri 5 sconosciuti, ora siamo una famiglia. E quanto a questo la band è tremenda, è il pubblico più severo, sai quante cose devo mettere via perché con gli altri non passano?».
Però siete consapevoli di essere davanti a un bivio?
«È la fase in cui o diventiamo, con tutto il rispetto, i Pooh, o diventiamo una nuova realtà che dura da tanto tempo, facendo dimenticare da dove veniamo».
Sì, ma qual è l’orizzonte possibile per un prodotto così articolato, in un mondo frammentario e dispersivo?
«È una bella sfida, lo so. Oggi un disco per esistere deve essere orizzontale e verticale, come una serie tv, questo anche per non ripetersi nel disco stesso, ogni pezzo una puntata, che deve avere senso da sola, o avere senso nell’insieme».
Non è facile dopo vent’anni stare dietro ai cambiamenti…
«Siamo in mezzo a mutamenti drastici, in questi ultimi due anni è cambiato tutto. Il passare del tempo lo senti quando ti chiedono di fare un selfie per la mamma. Oggi è più che mai determinante riuscire a parlare ai giovani, perché loro oggi hanno un nuovo codice.
Per questo abbiamo accettato di essere a X Factor. Ma ben venga anche l’enorme quantità di parole portata dal rap, perché questo ci permette di rivalutare i cantautori storici che hanno usato bene tante parole, per i ragazzini che ascoltano rap è una chance, e i rapper dovrebbero rifarsi di più alla nostra tradizione».
A proposito di cantautori, c’è una voce di bimba nel primo e nell’ultimo pezzo del disco.
Un omaggio voluto?
«Ma sì certo, quando ero ragazzo ascoltavo di tutto, soprattutto rock ovviamente, poi arrivò quel disco di Fabrizio De André, Le nuvole, che cominciava con quelle due voci femminili che parlavano di nuvole. Mi turbò, ma allo stesso tempo mi arrivò un senso di pace. Volevo fare un omaggio a quello che ho provato allora. Ma non c’è nulla di nostalgico, la bambina è un nuovo inizio, è la figlia di mio fratello, la stessa bambina a cui dedicammo Sole».
Che ne è del disco, ora che sta per compiere il primo mese di vita?
«Sta volando, ed è un sollievo incredibile. Ora non è più solo una cosa solo nostra, privata.
Ci stanno arrivando addosso le proiezioni del pubblico, le canzoni così prendono vita davvero. Questo è rigenerante, ci regala una grande serenità per dedicarci al lavoro per il tour negli stadi, che ora è la cosa più importante».
Ma se dovesse e potesse sintetizzare il fine ultimo di questo lavoro, quale sarebbe?
«La voglia di dire che ce la faremo, tutti. Quattro anni fa dicevamo: la rivoluzione sta arrivando, oggi il cambiamento è palese, ma io non ci credo a tutta questa arroganza, al cinismo che senti dovunque, quando vedi uno che naufraga non c’è cinismo che tenga, non puoi far altro che dare un mano e lo farebbe chiunque, ne sono sicuro. La verità è nascosta dietro un sacco di maschere, per vederla dobbiamo spostare il proiettore della luce».