la Repubblica, 12 dicembre 2017
L’amaca
Fortuna che “il diritto d’autore è inalienabile”. E dunque non è possibile rimuovere il nome di Fausto Brizzi dal film di Fausto Brizzi, come una malintesa (molto malintesa) idea di moralità avrebbe suggerito e magari imposto – non fosse, il diritto d’autore, “inalienabile”. Ci si domanda, con un certo sgomento, come qualcuno abbia potuto anche solamente pensarla, questa censura tardo-vittoriana.
Sbianchettare la firma di un artista dalla sua opera perché l’artista, nella sua vita privata, si è portato male; o ha fatto una rapina; o è un evasore fiscale; o un criminale a vario titolo.
Per dire che il Caravaggio, e più in piccolo Polanski, dovrebbero essere depennati dalle tele e dalle pellicole che hanno impresso.
Neanche immaginabile la sopravvivenza, in quanto autori delle proprie opere, dell’antisemita Céline o del fascista Marinetti.
Ma i carcerati fanno buonissimi e acclamati panettoni – tra di loro, probabilmente, anche qualche assassino – dunque anche a un regista travolto dalle accuse di molestie sessuali può essere concessa la fattura di un cinepanettone. La “gente”, vaga categoria della quale tutti noi siamo parte, ha gli strumenti per distinguere, per separare la vita e l’opera.
Pensare che un film girato da Brizzi e firmato Brizzi possa in qualche maniera confondere il giudizio sul caso che lo coinvolge, equivale a immaginare che la gente sia così scema e inetta da necessitare di un Commissariamento Morale.