la Repubblica, 12 dicembre 2017
Le maglie, le coppe i guanti di Zoff. Quando un ricordo viene messo all’asta
Al piccolo Luca, giovanissimo portiere della Spotornese, avevano detto che era impossibile: non sarebbe mai riuscito a parlare con Zoff. Lui, testardo, lo aspettò alla fine di un allenamento: non solo gli parlò, ma gli chiese pure se voleva fargli da padrino alla cresima. Era il 1983, Dino si avviava a concludere una carriera fantastica.
Declinò, poi spedì a casa di quel ragazzino di 11 anni un regalo dal valore inestimabile: i guanti che aveva indossato al Mundial ’82. Quelli che bloccarono sulla linea il colpo di testa di Oscar al tramonto della partita del Sarrià contro il Brasile, quando un intero Paese trattenne il fiato, nella paura che un sospiro potesse spingere la palla oltre la linea. Quelli che sollevarono la coppa al Bernabeu e divennero un’icona e un francobollo disegnato da Guttuso.
In una canzone di più di vent’anni fa, Francesco De Gregori raccontò il viaggio fantastico di un feticcio d’amore, un guanto precipitato da una mano desiderata, ispirandosi ai quadri di Max Klinger. I guanti di Zoff non hanno girato tanto, in verità. Per 34 anni, il ragazzo della cresima li ha custoditi e ora se ne separa a malincuore.
Finiscono all’asta per Bolaffi: giovedì si terrà on line la seconda edizione di Football Memorabilia, vendita all’incanto di cimeli (da lunedì i lotti in esposizione a Milano). Un anno fa è stato battuto a 93mila euro lo statuto del Milan Football & Cricket Club: se l’è aggiudicato l’avvocato Giuseppe La Scala, vicepresidente dei piccoli azionisti rossoneri.
Nel nuovo catalogo non spiccano solo i guanti di Dino. Ci sono le maglie di Maradona e Pelé. Una è la 10 del Napoli che Diego donò ad Andrea Agostinelli dopo la partita con l’Avellino del 22 dicembre 1985. L’altra è del Brasile 1971, quando O Rei lasciò la nazionale: è autografata da Pelé, che in carriera si firmava per esteso, ed è a girocollo e non a V, secondo sua esplicita richiesta alla federazione.
Tutto ha un prezzo, anche la memoria. Nelle aste italiane, le cifre sono importanti se considerate in assoluto, abbordabili se raffrontate al circuito americano. La maglia del più grande calciatore di ogni epoca, scegliete voi quale dei due, è stimata fra gli 8 e i 10mila euro. I guanti di Zoff partono da una base di mille e sono quotati fra cinque e seimila euro. Se vi sembra una follia, pensate che per il cimelio più caro del mondo c’è chi ha speso quasi 4 milioni di euro: la prima maglia da baseball indossata da “Babe” Ruth dopo il passaggio ai New York Yankees nel 1920 è stata battuta nel 2012 dalla californiana Scp Auctions per 4.415.658 dollari. E l’offerta è arrivata da un’altra casa d’asta, Lelands, che si è riservata di vendere la maglia a un privato. Anche in questo caso, dietro un cimelio ci sono una storia e una leggenda. La storia è la cessione di Ruth dai Boston Red Sox, in difficoltà economiche, agli odiati Yankees. La leggenda è la “maledizione del Bambino”, il sortilegio che avrebbe impedito a Boston di vincere il titolo per più di 80 anni, come punizione per averlo lasciato partire. Negli States il culto dei memorabilia è una venerazione senza limiti alla follia e al portafogli. C’è chi ha speso 25mila dollari per il sospensorio del proprio idolo, 10mila per i peli di barba, 7mila per una dentiera e ancora 10mila per una gomma già masticata (ma era l’operazione commerciale di una ditta di chewing-gum). «Rispetto al mercato anglosassone – racconta Filippo Bolaffi, amministratore delegato – il collezionismo italiano è molto più giovane. Abbiamo due tipi di acquirenti. C’è l’appassionato che fa un collezionismo di conoscenza, sfruttando un gancio in una squadra o l’amicizia con un calciatore: un mercato non organizzato che muove cifre basse. E poi c’è il collezionista d’arte o gioielli che non è un addetto ai lavori ma si affaccia sulle aste dei memorabilia fidandosi della serietà e delle stime del venditore, sapendo che le cifre sono reali rispetto alle disponibilità dei compratori. Non me la sento, per l’Italia, di parlare già di nuova forma di investimento. Però se consideriamo la crescita costante della platea di appassionati di calcio nel mondo è ragionevole pensare che un cimelio sportivo acquistato oggi possa accrescere il proprio valore a lungo termine». Poi ci sono le ragioni dei venditori. Si disfano di un pezzo di vita più per un’esigenza economica che per golosità di guadagno: un divorzio costoso, una spesa improvvisa, un’urgenza di liquidità. «O semplicemente l’impossibilità di conservare un oggetto che si sta deteriorando – spiega Bolaffi -. A quel punto, anziché perdere tutto, ricordi e denaro, tanto vale vendere. Ma c’è anche chi mette in vendita un Picasso perché spinto dalle quotazioni. O chi diventa acquirente spinto dalla fede calcistica».