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 2017  dicembre 12 Martedì calendario

L’impennata dei fast jobs

ROMA In gergo tecnico si chiamano RB: rapporti di lavoro di breve durata, inferiore ai tre mesi. In pratica, sono la frontiera estrema del precariato in Italia. Più che mini jobs come in Germania, fast jobs: lavoretti lampo. Qualche giorno, anche uno o tre. Per i più fortunati una manciata di settimane. Quattro milioni di italiani nel 2016 hanno lavorato così, a strappi. Un milione in più del 2012. Nove milioni in 5 anni.
In mezzo il decreto Poletti del 2014 che ha liberalizzato i contratti a tempo. E il Jobs Act del 2015, la riforma del lavoro di Renzi che doveva spingere tutti i nuovi assunti verso il nuovo modello di lavoro stabile: il contratto a tutele crescenti.
E invece, ad eccezione del 2015 trainato dagli sgravi totali sui contributi azzerati per tre anni a quanti assumevano in pianta stabile, la precarietà non solo è dilagata, anziché il contrario: lavori a tempo, intermittenti, a chiamata, voucher, somministrazioni, collaborazioni. Ma si scopre ora grazie al primo Rapporto annuale congiunto di Istat, Inps, Inail, Anpal e ministero del Lavoro – persino tracimata con la figura del super precario.
Chiamato a giornata. Pagato in media 3 mila euro all’anno (12 miliardi totali nel 2016). Pochi diritti. Zero futuro. I nuovi numeri, per la prima volta messi nero su bianco, sono spiazzanti.
Al punto che gli stessi autori definiscono questi RB, i fast jobs del nuovo Millennio, «una seria sfida per la regolazione». Un fenomeno «preoccupante», per il presidente Inps Tito Boeri.
«Valutiamo se non sia il caso di riconsiderare la norma che permette sino a tre rinnovi», suggerisce.
Il riferimento è al decreto Poletti, appunto. Che accanto ai pluri-rinnovi consente anche ben cinque proroghe. E che ha tolto la causalità, ovvero la motivazione dell’assunzione. Il ministro Giuliano Poletti riconosce l’opportunità di una «riflessione». Ma non vede una correlazione con il suo decreto.
«Ad oggi non posso dire che c’è automatismo», tra il proliferare dei fast jobs e la liberalizzazione del 2014. Motivo per cui il governo Gentiloni non intende predisporre un emendamento per correggere quelle norme. Il motivo ufficiale è la fine legislatura. Quello ufficioso, le frizioni da evitare con il ministro. Alla Camera però una proposta c’è, dichiarata ieri ammissibile, per abbassare la durata dei contratti a tempo da 36 a 24 mesi. La firma Chiara Gribaudo, responsabile dem sui temi del lavoro e altri 30 deputati pd.
Passerà? «Il consenso del partito dovrebbe esserci», dice lei.
D’altro canto le comparazioni con gli altri paesi sono impietose. L’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro, mostra ad esempio come l’Italia sia l’unico grande paese d’Europa ad avere cinque proroghe. In Francia e Spagna si arriva a due.
In Germania a quattro. Non solo.
Questi tre paesi non vanno oltre i 24 mesi per la durata. Noi siamo a 36. Come Bulgaria, Romania, Belgio, Indonesia, Algeria, Arabia Saudita e Afghanistan.