la Repubblica, 12 dicembre 2017
New York, attentato «per vendetta»
NEW YORK C’erano voluti 16 anni dall’11 settembre alla strage di Halloween ( Tribeca, 8 morti). Ora è passato meno di un mese e mezzo, per la bomba di Times Square “dedicata” all’Isis. Alle 7:20, ora di punta di lunedì mattina, le telecamere di sorveglianza catturano il botto, la nuvoletta di fumo, il panico della folla che fugge in tutte le direzioni. Accade in un sottopassaggio dove si accalcano migliaia di passeggeri al minuto. È lo snodo centrale di una metropoli di nove milioni di abitanti. Lì sottoterra a mid- Manhattan, in un’area compresa in verticale fra l’Ottava Avenue e la Broadway, in orizzontale fra la 40esima e la 44esima Strada, s’incrociano ben 10 linee del metrò o Subway. In superficie, dirimpetto al grattacielo del New York Times, c’è il Port Authority Bus Terminal dove arrivano gli autobus dei pendolari dalla provincia. Scelta accurata nel bersaglio geografico, umano e simbolico: a cento metri da Times Square, la più celebre delle piazze newyorchesi. Dilettantismo nell’esecuzione, per fortuna. Il 27enne Akayed Ullah appare nei video di sorveglianza curvo in posizione fetale, a terra, ferito all’addome. Altri tre sono feriti lievi. L’autore è in ospedale e appena catturato ha inneggiato all’Isis. Secondo alcune fonti ha parlato anche della striscia di Gaza, di solidarietà coi palestinesi.
«Ordigno rudimentale ma è terrorismo», confermano subito gli inquirenti, la task force dell’antiterrorismo: Fbi più New York Police Department ( Nypd). Lui è originario del Bangladesh, Paese a maggioranza musulmana. Residente da sei anni a Brooklyn con regolare visto. La prima reazione della Casa Bianca viene dalla portavoce Sarah Sanders: «Questo attentato mostra come il Congresso deve agire, deve lavorare con il presidente a una riforma dell’immigrazione e proteggere i confini. Dobbiamo assicurarci che le persone che arrivano in questo Paese non facciano del male» a chi ci vive. Ma Ullah non sarebbe finito nelle maglie dei Muslim Ban di Donald Trump neanche se fosse arrivato l’altroieri: il Bangladesh non è nella lista dei paesi proibiti. Come non lo è l’Uzbekistan da cui proveniva Sayfullo Saipov, l’autore della strage di Halloween che si scagliò col suo furgone sui ciclisti. Lupi solitari tutti e due, auto- indottrinati, molto difficili da intercettare in anticipo. Il richiamo all’Isis è credibile ma non va inteso come l’appartenenza all’organizzazione: è identificazione ideologica coi fautori della jihad islamica, ammirazione, e apprendimento da autodidatta sui siti dove si offrono le istruzioni tecniche per gli attentati.
Ieri mattina la bomba artigianale ha fatto flop. A nulla invece è servito il dispositivo di sicurezza per quanto imponente e capillare. Tremila poliziotti dedicati alla vigilanza nel metrò sembrano tanti – e in effetti li incontriamo spesso nelle stazioni o sulle vetture della Subway – eppure sono una goccia: 250.000 passeggeri al giorno transitano in questo metrò. Le pattuglie di polizia in assetto di guerra sono solo un deterrente, non un cordone di sicurezza a tenuta stagna. New York è una delle città più protette del mondo. La polizia oltre che nella Subway è ben visibile per le strade, nei luoghi pubblici. I luoghi affollati all’aperto, come i mercatini di Natale con le bancarelle che attirano i turisti a Columbus Circle- Central Park o a Union Square, sono protetti dai blocchi di cemento e altre barriere architettoniche che dovrebbero fermare gli attentati con auto o furgoni scagliati sulla folla ( stile Nizza Berlino Barcellona o Tribeca). I maggiori musei e sale di concerto hanno installato i metal detector. Ma è impensabile mettere metal detector in ogni stazione del metrò, salvo paralizzare New York.
Un pezzetto alla volta la vita quotidiana continua a cambiare, dall’11 settembre in poi. Ora è l’architettura delle città e dei luoghi pubblici che si avvicina lentamente al modello- aeroporti. Tutti palliativi. Erano passate solo 48 ore da quando il premier iracheno aveva annunciato urbi et orbi la sconfitta finale dell’Isis, e quella sigla ha creato ancora un panico a Manhattan.
Il riferimento del terrorista di Times Square ai palestinesi, se confermato, aumenterà le condanne verso il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele da parte di Trump. Ma il terrorismo islamico esiste da decenni, molto prima di Trump. E periodicamente, strumentalmente, si affeziona alla causa palestinese oppure la ignora.