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 2017  dicembre 12 Martedì calendario

Ullah, 27 anni, elettricista. Ha confezionato la bomba «in nome del Califfato»

Akayed Ullah, in questi giorni, avrà seguito con attenzione le notizie. Parlano dei rovesci dello Stato Islamico, della decisione di Trump su Gerusalemme capitale. Ed avrà letto anche gli appelli jihadisti a insanguinare il Natale a Manhattan. Ullah non crede alla sconfitta, anzi pensa che sia il momento di dimostrare il contrario. E lo fa organizzando un attacco, grezzo quanto si vuole, a New York. Dimostra di essere capace di costruire un ordigno rudimentale che ha fatto pochi danni e molto rumore sul piano mediatico. Ferito, ha rivelato agli inquirenti le motivazioni. Ha agito in nome del Califfo, ha scelto il target perché c’erano poster natalizi e voleva imitare attentati condotti dall’Isis, come al mercato di Berlino nel dicembre 2016. La sua è una vendetta in risposta ai raid israeliani su Gaza, ma anche ai bombardamenti alleati in Siria e altrove. Solita giustificazione.
Nato in Bangladesh, è arrivato negli Usa con i genitori e tre fratelli nel 2011 acquisendo poi la carta verde. Stabilitosi a Brooklyn, autista fino al 2015, Ullah era impiegato in una ditta di componenti elettriche. Un uomo scontroso e chiuso – dicono vicini – che non era mai entrato nel radar della polizia. In base alle sue ammissioni avrebbe confezionato sul posto di lavoro la bomba che portava indosso. Il meccanismo, però, non ha funzionato, e si è incendiato invece che esplodere provocando ferite al criminale.
Gli investigatori propendono per un atto individuale, influenzato dalla propaganda sul web dell’Isis, ma devono capire se esistono dei complici e dei rapporti. All’esame i suoi spostamenti, compreso uno in Bangladesh a settembre: il suo Paese natale è un focolaio di radicalismo. Alla base della storia c’è per ora un giovane di 27 anni protagonista di un’azione in una delle città più protette al mondo, spesso indicata dal Califfato come bersaglio principe e vittima negli ultimi due anni di alcuni attacchi. A metà settembre del 2016 Ahmad Rahimi ha fatto detonare alcuni ordigni tra il quartiere di Chelsea e il New Jersey. Poi, il 31 ottobre, la strage con un pick-up sulla pista ciclabile, 8 i morti. Autore l’uzbeko Sayfullo Saipov, gesto nel segno dello Stato Islamico.
Ullah potrebbe rientrare in questa categoria di ispirati/influenzati. Elementi a basso costo (per le fazioni), ma dal grande impatto. Ha emulato, senza riuscirci, gli attentatori suicidi. Ha ricavato informazioni per la bomba da Internet ricorrendo ad una piccola batteria e lucine di Natale, tecnica già comparsa nell’attacco a Boston e in Gran Bretagna. È sempre il magazine Inspire a fare da guida. Ha agito in un luogo simbolo in un periodo di feste. Ha creato scompiglio accrescendo timori e insicurezza. Ha confermato come la sorveglianza sia efficace contro piani strutturati, ma conceda – inevitabilmente – spazi alle operazioni meno sofisticate, «nate in casa». Che, per fortuna, spesso non riescono proprio perché amatoriali. Ha rivitalizzato il messaggio di lotta e questo a prescindere dall’eventuale legame diretto con qualche movimento. 
È un’epoca instabile. Dove anche dei disturbati imitano i terroristi professionisti e amatoriali. A tutte le latitudini. L’ultimo episodio a Sondrio, dove un guidatore ubriaco ha travolto dei passanti ad un mercatino. La Procura lo ha accusato di tentata strage, l’uomo ha dichiarato che voleva uccidere. La motivazione è irrilevante, contano esecuzione e conseguenze.