il Fatto Quotidiano, 11 dicembre 2017
Belice, 50 anni dopo il terremoto l’amianto uccide ancora
Come ogni domenica, alle 9:30, nella chiesa Santi Pietro e Paolo di Montevago, costruita subito dopo il terremoto del Belice per ridare ai paesi distrutti un luogo di culto, c’è chi non ha smesso di pregare per i propri defunti. Seduta tra i banchi c’è una ragazza nata sicuramente dopo il terremoto, ma anche lei ha le sue vittime da commemorare: i morti per tumore negli anni seguenti al sisma che tra il 14 e il 15 gennaio 1968 scosse le province di Trapani e Agrigento seppellendo dalle 230 alle 370 persone. Il numero esatto non si è mai saputo.
La chiesa, la cui croce fa capolino tra i tetti in amianto delle abitazioni costruite dopo il 1968, doveva essere provvisoria ma a 50 anni di distanza è ancora aperta. Il terremoto a Montevago fece più di cento vittime, la ricostruzione cominciò con tre villaggi chiamati Tempo, Trieste e Bergamo costruiti con largo uso di amianto.
Le case hanno la copertura in eternit, la chiesa e l’ex ambulatorio, oggi occupato abusivamente, lo sono in ogni parte. “Qui quasi tutti muoiono di tumore – grida la sindaca della città, Margherita La Rocca – e dopo 50 anni siamo ancora a discutere per la baraccopoli costruita con l’amianto. Qualche anno fa un senatore ci promise l’arrivo di fantomatici fondi, ma non sono mai arrivati. Le famiglie da 50 anni non solo vivono in condizioni disagiate, ma devono pure fare i conti con il pericolo amianto. Quando sono state assegnate per sorteggio le abitazioni, tutti erano felici di andarci, meglio quello che le baracche, ma non sapevano a cosa sarebbero andati incontro. I progetti per rimuovere l’amianto ci sono, ma mancano i finanziamenti, sono bloccati in Regione, è tutto fermo dal 2012”.
Le villette che dovevano essere temporanee, sono diventate definitive per una ventina di famiglie. “Appena insediata – spiega la sindaca – mi sono fatta consegnare i dati di morte dal 1998 al 2008, e ho scoperto che quasi tutti i decessi sono per patologie tumorali, la maggior parte ai polmoni. E ci sono tanti giovani”.
A pochi passi dalla nuova Montevago le villette con giardino, una bomba ambientale sempre accesa, vengono ancora vendute e acquistate: “Negli Anni 90 c’è stato un boom di vendite – spiega uno dei funzionari del Comune – molti da Sciacca e Palermo hanno deciso di comprare una villetta per le vacanze estive, considerata la posizione di Montevago, centrale tra le province di Agrigento, Trapani”.
Ancora oggi – come raccontano i residenti – è possibile acquistare gli immobili nei villaggi Bergamo e Trieste per poche migliaia di euro, dieci o quindici. Un prezzo allettante per chi vuole una seconda casa per le vacanze. Tra coloro che hanno fatto lavori per rifare il tetto c’è anche chi si è sbarazzato dell’amianto gettandolo – con tutti i pericoli che ne conseguono – nella vecchia Montevago, che a gennaio sarà teatro delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario di un terremoto ricordato come uno di quelli in cui si commisero più errori di valutazione, di soccorsi e di ricostruzione. E che, ancora oggi, vede molte famiglie in attesa di una sistemazione.
Molte vivono a Santa Margherita di Belice, un paese dove il terremoto fece spostare anche l’accento di quest’ultima parola, Bèlice, con l’arrivo dei media che cominciarono a nominarla in forma sdrucciola. Qui attendono ancora 10 milioni di euro che dovrebbero garantire la costruzione di 40 unità abitative, l’urbanizzazione, la creazione della rete fognaria e delle condotte idriche. Soldi che, però, non sono più arrivati, mentre altri hanno costruito anche ville, ricevendo finanziamenti complessivi per tre o quattro immobili che possedevano prima del terremoto.
A Santa Margherita il sindaco Franco Valenti deve fare i conti con diversi richiami riguardanti lo smaltimento dell’amianto, oggi sparso in quella che viene chiamata “Fossa dei leoni” e nella zona terremotata, ma anche lui è in attesa del famoso finanziamento che non arriva: “È dal 2012 che aspettiamo questi soldi. A noi sarebbero dovuti arrivare 2 milioni e 300 mila euro, ma non li abbiamo mai visti. Oggi si parla in tutta la nazione di sacco del Belice, ma abbiamo preso un terzo dei finanziamenti del Friuli. Cinquant’anni dopo è arrivato il momento di risolvere le questioni ancora in sospeso e raccontare la verità agli italiani”.
Una verità sepolta sotto le macerie che oggi ha il volto dei morti per tumore e di chi vive in affitto in attesa dei soldi per la propria abitazione crollata in quella tragica notte del 15 gennaio.