Libero, 10 dicembre 2017
Quando i soldati greci sotto Troia si giocavano ai dadi anche lo scudo
Tentare la sorte, si sa, è spesso l’extrema ratio per chi è in affanno economico («Spes ultima dea», dicevano i latini); è anche però un modo per conoscere e quasi sfidare la volontà degli déi, un modo a volte portato all’eccesso.
Un sistema antico come l’uomo: i primi dadi (fabbricati con ossa di pecora, cervo e animali di analoga grandezza) sono stati rinvenuti in Cina, e risalgono a più di 5000 anni fa e, a partire dal 4000 a.C., in India e Giappone, ma anche, un millennio più tardi, in Egitto e vicino Oriente, presso i Sumeri, gli Assiri e i Babilonesi e, in epoche più recenti, nelle città maya e presso gli eschimesi. E, per riproporre una storia remota, che allora come oggi ha fatto la fortuna (ma più sovente ha causato la rovina) di singoli o di intere famiglie, è stata organizzata facendola iniziare venerdì 17 novembre quasi per sfidare la sorte la mostra Lotterie, lotto, slot machines. L’azzardo del sorteggio: storia dei giochi di fortuna, negli spazi Bomben di Treviso fino al 14 gennaio, a cura della Fondazione Benetton Studi Ricerche e curata da Gherardo Ortalli,storico e docente emerito all’Università di Ca’ Foscari a Venezia. «Il giocare è una necessità innata e fondamentale del vivere, come del resto dimostra la spontaneità di ogni attività ludica e ricreativa e il suo ruolo formativo fin dalla prima infanzia. Momenti spensierati che pervadono parecchi aspetti di ogni società umana» spiega Ortalli, «ma il gioco può farsi pericoloso, seriale. Un’espressione particolare, con ricadute sociali, diventa infatti il combinarsi del ’ludus’ col denaro, la puntata, la sorte, la scommessa. Per questo, da sempre, anche il gioco d’azzardo, estremizzazione del gioco normale, è un aspetto che accompagna la vita delle comunità, in forme più o meno regolate, fino a sfociare nella ludopatia, pericolo ultimo della passione per l’azzardo».
Forme di puntate seriali le prime, vere testimoniate -, risalgono alla guerra di Troia: Sofocle (V sec. a. C.), tragediografo greco, riteneva che i soldati greci giocassero sistematicamente a dadi, giocandosi i loro beni (che erano in natura: all’epoca il denaro non esisteva) e arricchendo Palmede, l’astuto condottiero, inventore di questo gioco e delle scommesse ad esso legate. I romani, come era loro abitudine, razionalizzarono il fenomeno e arrivarono a regolamentarlo e in qualche caso a proibirlo per motivi di ordine pubblico. O a tollerarlo in forma clandestina: la sera le bettole romane chiudevano e si trasformavano in bische, dove si scatenavano puntate anche forti. Ci si giocava la camicia e ben oltre: grosse cifre di sesterzi venivano rischiate sulle corse di bighe e di quadrighe. Le satire di Giovenale e gli epigrammi di Marziale, un autentico spaccato della Roma imperiale del I-II sec. d. C., testimoniano private disperazioni causate da ingenti perdite di denaro. Si scommetteva sul fantino, ovviamente sui cavalli e, in altro ambito, sui gladiatori. Vi erano poi giorni appositi per giocare: i Fasti, stabiliti dalla dea Fortuna, anche se spesso, è ovvio, ciò non bastava e i crac finanziari erano all’ordine del giorno. Da sempre si è cercato di tenere sotto controllo le pratiche dell’azzardo: gli Stati sono intervenuti nei modi più diversi e i metodi attuali, con i poteri pubblici impegnati ad amministrare e controllare le pratiche del gioco di denaro, iniziarono nell’Europa del medioevo e divennero sistematici nelle grandi corti rinascimentali, dove spesso il gioco si combinava con la prostituzione. Una simile storia sociale è l’oggetto di una mostra ricca di testimonianze e di oggetti (dal Rinascimento in poi, con prevalenza delle moderne lotterie e macchine dei casinò) di un fenomeno, oggi legato al web («Ci si può rovinare anche solo stando davanti a un computer», ricorda Ortalli).
Sono esposti prestiti da importanti collezioni italiane e straniere: dai Musei Civici di Treviso giunge l’Estrazione del gioco del lotto in piazza San Marco, di Eugenio Bosa. Al Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso appartengono molti dei manifesti pubblicitari di inizio Novecento, legati al mondo delle case da gioco. Documenti e giochi antichi vengono dall’archivio della Lotteria Nazionale Belga di Bruxelles, dalla Collezione Valvassori di Ravenna e dalla Collezione Alberto di Milano. Molti sono oggetti di privati, come il bolognese Silvio Berardi, e di studiosi di tutto il mondo. Uno spazio particolare è riservato alla storiche carte Dal Negro, esempio di un settore, quello delle carte, anch’esso di origini antiche, legato alla cartomanzia.