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 2017  dicembre 10 Domenica calendario

Griffati e super-rich. Il futuro è qui?

E adesso chi lo dice ai futuristi? A un secolo e passa dal Manifesto di Filippo Tommaso Marinetti ormai possiamo esserne certi: avevano torto. “Noi vogliamo distruggere i musei” era il punto dieci del proclama apparso su Le Figaro il 20 febbraio 1909. E ancora, qualche riga più in fondo: “Musei: cimiteri!... Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori… Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!..”. Invece no. Il museo, istituzione antica almeno quanto il Museion di Tolomeo I – terzo secolo Avanti Cristo, Alessandria d’Egitto – è ancora qui. Si moltiplica, evolve, diventa “ultra”. Sono diciottomila quelli censiti negli Stati Uniti; ventimila in Europa; almeno 55mila in tutto il mondo per oltre due miliardi di visitatori totali. Otto milioni solo per il più frequentato del pianeta: il Louvre di Parigi, che, dopo essersi sdoppiato nel 2012 inaugurando una “succursale” a Lens, Alta Francia, giusto un mese fa ha aperto anche ad Abu Dhabi, cedendo brand, capolavori e allure agli Emirati Arabi, fino al 2037, ma si prevede di più. Saranno i petroldollari, d’accordo, ma è anche il segno della storia. Perché l’inaugurazione al pubblico di una grande collezione sancisce l’ascesa di una civiltà, consolida un potere. È un passepartout verso la credibilità internazionale. E oggi i super musei sorgono sempre più a oriente, dove il mercato si alimenta, la ricchezza si consolida e la legittimazione culturale diventa una necessità. La formula si ripete: capitale a levante e idee a ponente. Il progetto è quasi sempre affidato a un’archistar o a un riconosciuto marchio d’occidente.
«Ma il museo non è una griffe», protesta il decano dei critici Jean Clair, da sempre contrario all’operazione Abu Dhabi, adesso resa ancora più discutibile, a suo parere, dall’entrata nella collezione del Salvator mundi attribuito a Leonardo e venduto da Christie’s per 450,3 milioni di dollari: «Questo pseudo- Leonardo peggiora la situazione. C’è dietro un piano politico», dice sibillino Clair. Ma nella lista delle nuove meraviglie del mondo dell’arte non c’è solo il Louvre del deserto. Dal 4 novembre Giacarta ha il Macan, il suo tempio dedicato al contemporaneo: quattromila metri quadri disegnati dal Met Studio di Londra. Il museo è stato finanziato dal collezionista indonesiano Haryanto Adikoesoemo, che dall’alto delle sue ottocento opere (60 per cento occidentali: ci sono Picasso, Warhol, Koons), ha dichiarato: «Se vado in Europa, entro in un museo per rilassarmi. In Indonesia mancava questo tipo di cultura». Relax, va bene, ma anche soft power. La Cina, ovviamente, non resta fuori. Shanghai è diventata la nuova mecca dell’arte con lo Yuz Museum e i Long Museum Pudong e West Bund del milionario Liu Xiquan. Ancora sulla via della seta, l’ultima inaugurazione di quest’anno, il 2 dicembre scorso a Shenzhen, è stata quella del Design Society, ovvero il Victoria & Albert Museum cinese, frutto dell’accordo tra l’istituzione londinese e il China Merchants Group (costo: duecento milioni di dollari, spesi in otto anni di lavori). Per l’artista Maurizio Cattelan «i musei dovrebbero essere invisibili, sottrarsi a ogni presenza fisica». Ma anche per quelli che apriranno nel 2018 la tendenza va da tutt’altra parte. Nei prossimi mesi è previsto il taglio del nastro del King Abdulaziz Center for World Culture di Dharan, Arabia Saudita: centomila metri quadri progettati dai norvegesi Snøetta con una forma di capsulona spaziale che di minimale non ha nulla. A ruota seguirà il National Museum di Doha, in Qatar, che appare come un agglomerato di dischi volanti e ha superato quattrocento milioni di euro di budget. Lo firma ancora Jean Nouvel, “padre” del Louvre di Abu Dhabi e ormai l’archistar occidentale più amata d’oriente. Per nulla invisibile sarà anche il Tank Museum di Shanghai: sessantamila metri quadri sul fiume Huangpu disegnati da Open Architecture e voluti dall’imprenditore Qiao Zhibing. In fatto di succursali, quella cinese del Centre Pompidou è attesa per il 2019, in un’ala del West Bund Art Museum di Shanghai di David Chipperfield. Ma qual è il compito dei musei presenti e futuri? «Il museo gioca ancora un ruolo politico cruciale: compensa la mancanza dello spazio pubblico globale», ha detto il filosofo Boris Groys al convegno dell’Associazione dei Musei d’arte contemporanea italiani alle Ogr di Torino, la città che con l’Egizio guida la rinascita dei musei italiani – cinquanta milioni di visitatori, +13.5 per cento rispetto al 2016 – almeno per gradimento (classifica TripAdvisor). Il discorso di Groys vale soprattutto per l’occidente dove i luoghi dell’arte tentano di allargare gli orizzonti andando oltre le mostre. New York fa scuola. Vedi le Quiet Mornings del MoMA: alle 7.30 i visitatori possono passeggiare per le sale e andare a meditare tra le 8.30 e le 9. Yoga ed esercizi sono nel programma di molti musei della Grande Mela, compreso il Metropolitan. Esperimenti del genere sono stati ripresi al Maxxi di Roma. Il futuro del museo è qui? «Deve focalizzare l’attenzione su progetti a lungo termine senza inseguire mostre facili», dice Keith Christiansen, curatore del Met. «Un gioco di equilibrio tra rendere piacevole una visita al turista e non rinunciare all’impegno di nutrire la comunità locale». Per potere, svago, studio e amore dell’arte, la storia dimostra che ci sarà sempre bisogno di loro. Perché, come i diamanti, un museo è per sempre.