la Repubblica, 10 dicembre 2017
La tv, Agroppi e i giorni in cui gli opinionisti criticavano
Non so come sarebbe stato giudicato un allenatore italiano al posto suo. So che Paulo Fonseca, allenatore dello Shakhtar, aveva promesso che in caso di qualificazione della sua squadra si sarebbe vestito da Zorro. L’ha fatto davvero, e senza aspettare qualche giorno. Si è presentato alla conferenza stampa, dopo la vittoria sul City, vestito da Zorro. Niente di eccezionale, ma tutto quello che toglie seriosità all’ambiente fa simpatia: 7 a Fonseca. Su 7 intervista a Giorgio Panariello, si parla di un incontro sollecitato da Massimo D’Alema.
Racconta Panariello: «Uno del suo staff chiamò il mio agente. Venni convocato nella sede dei Ds. Immagino a causa delle mie simpatie a sinistra.
D’Alema mi accolse chiedendomi: “Ma come fai a essere così popolare?”. In pratica i suoi collaboratori gli avevano consigliato di farsi dire da me come risultare più simpatico alle masse. Mi mostrò una stanza che lui chiamava “degli orrori” piena di statuine che raffiguravano D’Alema: di legno, di ferro, colorate, di marzapane». Che tenerezza suscita un D’Alema di marzapane. Ma la vera domanda a Panariello doveva essere: “Ma come faccio a essere così impopolare?”. E Panariello gli avrebbe risposto con dolcezza.
Aldo Agroppi, meno.
Da poco Cairo ha pubblicato una sua biografia, intitolata “Non so parlare sottovoce”. Sempre su 7 vengono ricordate alcune famose uscite di Agroppi. Su Mourinho: «È come Wanna Marchi: un imbonitore». Può piacere o non piacere (a me piace) ma bisogna ammettere che è una definizione precisa, non ricordo di averne sentite di così brevi e appuntite.
Non lascia spazio a equivoci. Un giorno Agroppi fu chiamato al telefono da un giornalista che gli chiese un parere sull’Albero di Natale adottato da Ancelotti. E lui: «Non so che dirle, io sono di tutt’altra scuola, giocavo con l’Uovo di Pasqua». Questa è più leggerina, ma funziona. M’è venuta nostalgia di quando Agroppi commentava il calcio in tv, da opinionista.
A volte esagerava, entrando alla Ferrini o alla Benetti, ma chi stava ad ascoltare aveva chiara l’opinione di un opinionista di peso, uno che non era stato una comparsa sui campi di calcio. Quando ascolto Costacurta o Adani o Vialli o Paolo Rossi penso che sono tutti ammodino e specializzati nel criticare il meno possibile.
Quand’anche, con delicatezza, gli schemi e non gli uomini.
Come critici che vanno un po’ più a fondo ci sono Marocchi, Pecci e Tardelli (se non c’è di mezzo la Juve).
Dalla biografia di Agroppi parto per segnalare altri libri di sport. Nicola Roggero in “Caro nemico” (ed. Absolutely Free) inquadra storie di rivalità e insieme di amicizia.
Alcune note (Owens-Long, Gimondi-Merckx), altre meno (Monti-Emery, Zatopek-Mimoun, Johnson-Yang, Lomu-Van der Westhuizen), altre recentissime (Hamblin-D’Agostino a Rio, batteria dei 5.000 donne), altre spiazzanti (Anquetil-Poulidor). Un libro che tocca molte discipline e rischiava di essere palloso. Non lo è affatto per la scelta fatta dall’autore, la sua competenza e il suo stile asciutto. Lo sport può dividere ma anche unire, può essere un muro oppure un ponte, una piazza. Avanti un altro: “Una notte al Tour” e altri 19 racconti, ed. Compagnia editoriale, autore Sergio Neri, uno dei suiveurs (sì, allora le corse si seguivano) più sensibili non solo alla gara, ma agli intervalli tra una tappa e l’altra. Non solo ciclismo, nelle pagine di Neri: anche Puskas, Berruti, Sivori e Montanelli. Poi, di Franco Quercioli, “La speranza correva a sinistra” (ed. Ediciclo). È un romanzo, una sorta di cronaca familiare che dura mezzo secolo ed è spartita tra due passioni, il ciclismo e la politica. Maestro elementare, Quercioli, con due fari davanti, La Pira e don Milani, vive la stagione del ’68 e continua a correre a sinistra, come la speranza. Che rallenta con la morte di Berlinguer, o smarrisce le cartine del percorso, questo è ieri, uno ieri che Quercioli dipinge con colori vivi.
Ancora sul saluto romano e la maglia della Rsi esibita sul campo di Marzabotto da un giocatore del Futa. La Gazzetta informa che l’individuo ha fatto un salto in alto di due categorie. L’ha ingaggiato il Borgo Panigale di Bologna, club di Promozione. Dichiarazione della presidentessa del club, Barbara Antinori: «La sua è una goliardata finita male, molto strumentalizzata perché avvenuta a Marzabotto. L’avesse fatta altrove sarebbe passata inosservata». Forse, ma l’ha fatta a Marzabotto, chieda all’individuo i motivi, signora presidentessa.
Ammetterà che si apprezzino poco goliardate simili, dove si sono contati 770 morti ammazzati. «Non siamo noi che dobbiamo giudicarlo». E perché no? «Dal comunicato ufficiale di quella gara non risultano addebiti sul suo comportamento. In caso di squalifica starà fuori, ma per noi fino a prova contraria è un giocatore e un ragazzo pulito».
Punito, spero, ma non ci credo troppo. «Noi facciamo calcio e non politica». Bravi. Lui sì però.
Parlando solo di calcio, è ben curioso cercare di rinforzarsi andando a pescare due categorie più sotto, ma non sono io quello che deve giudicare il valore dell’individuo.