la Repubblica, 10 dicembre 2017
L’austerità sostenibile
Le recenti proposte della Commissione europea per “completare l’unione monetaria e economica” hanno preoccupato molti commentatori italiani. Il fatto che il famigerato “Fiscal compact”, da accordo forse temporaneo tra Stati diventi un formale trattato europeo ha indotto molti a pensare che non si voglia più abbandonare la strada dell’austerità, che diventerà semmai sempre più aspra. Non mi sembra un’interpretazione corretta.
Le Commissione avanza tre proposte principali: l’integrazione delle regole fiscali introdotte nel 2012 (il Fiscal compact) nei trattati europei; la trasformazione dello European stability mechanism ( o Esm, l’istituzione creata per finanziare i paesi in crisi) in un Fondo monetario europeo; la nomina di un ministro europeo dell’economia e delle finanze e la creazione di nuovi strumenti di bilancio ( ma senza nuovi fondi) per garantire la stabilità dell’area dell’euro.
L’integrazione del Fiscal compact nei trattati europei rafforza i meccanismi di penalizzazione per chi non rispetta le regole (rende soprattutto possibile l’intervento della Corte di Giustizia europea in caso di violazione), ma non ne cambia la sostanza. Sono regole troppo rigide? Non mi pare, soprattutto dopo i chiarimenti introdotti a inizio 2015 sulla flessibilità di applicazione delle stesse. Se le regole sono così rigide, come avrebbe potuto un paese con il secondo debito pubblico più alto in Europa (peggio sta solo la Grecia) posticipare di anno in anno dal 2012 il raggiungimento del pareggio di bilancio e la riduzione del debito, senza incorrere in procedure di infrazione? Le regole consentono una forte gradualità nell’aggiustamento dei conti. Certo non si può procrastinare per sempre e se magari dopo le elezioni dovremo accelerare, è perchè sono cinque anni che accumuliamo ritardi, non perchè le regole siano troppo rigide. È vero che la regola del debito ci richiederà prima o poi di ridurre il rapporto tra debito e Pil di circa tre punti percentuali l’anno. Ma questo, al contrario di quanto molti sostengono, non richiede una “manovra” (aumenti di tasse e tagli di spesa) ogni anno. Una volta raggiunto il pareggio di bilancio, il debito scenderebbe rispetto al Pil senza bisogno di manovre: ci penserà la crescita del Pil nominale ( al 3 per cento, diciamo ugualmente divisa fra crescita reale e inflazione) a far scendere il debito alla velocità richiesta. E, conti alla mano, pareggiare il bilancio entro tre anni richiede solo di congelare (non tagliare) la spesa in termini reali, risparmiando le entrate che derivano dalla crescita in corso. Se poi vogliamo tagliare le tasse, allora occorre ridurre la spesa, invece di congelarla, ma questa è un’operazione pressochè neutrale in termini di effetti sulla domanda aggregata e non vuol dire “austerità”.
La trasformazione dell’Esm in un Fondo monetario europeo (Fme) stabilizza il meccanismo di sostegno ai paesi in crisi. È positivo che si preveda che l’Fme possa fornire risorse al fondo di risoluzione delle banche (in sostanza soldi che potrebbero essere utilizzati in caso di crisi bancarie) e al finanziamento di un’eventuale “funzione di stabilizzazione” anticiclica la cui natura resta da chiarire, ma che consentirebbe un intervento europeo qualora gli stabilizzatori fiscali automatici e gli interventi discrezionali concessi dalle regole europee ai singoli paesi non fossero sufficienti. Questo aumenta la flessibilità delle politiche di sostegno alle economie colpite da shock. È poi importante quello che non è compreso nella proposta. Si temeva che la creazione del Fme sarebbe stata accompagnata dall’introduzione di una regola per cui paesi ad alto debito che avessero bisogno di supporto avrebbero dovuto, in via quasi automatica, ristrutturare il debito (una bancarotta preventiva). Questo sarebbe stato molto rischioso perchè crisi temporanee di fiducia e di liquidità (quelle che richiedono comunque il ricorso a un sostegno esterno seppur temporaneo) diventerebbero quasi automaticamente crisi di insolvenza: se gli investitori sanno che una ristrutturazione del debito è probabile, i tassi di interesse aumenteranno a livelli abnormi, rendendo insostenibile il debito e quindi insolvente il paese debitore. Questo rischio sembra per ora scongiurato.
Il resto delle proposte della Commissione è più che altro un’occasione persa. Il vero cambiamento sarebbe stato creare un ministro delle finanze europeo che potesse gestire un bilancio europeo a livello centrale dotato di risorse ben più consistenti di quelle ora disponibili (pari all’1 per cento del Pil europeo; gli stati federali più decentrati hanno un bilancio centrale del 25- 30 per cento del Pil), un bilancio che potesse svolgere un’azione anticongiunturale, finanziandosi con l’emissione di eurobond. Ma si sapeva che non c’era lo spazio politico per proposte più ardite.
Nel complesso il piano della Commissione conferma regole fiscali che non sono così austere come molti pensano, prevede per certi aspetti una maggiore flessibilità nelle politiche economiche e non comprende alcuni passi che avrebbero danneggiato paesi ad alto debito come il nostro. Sono proposte equilibrate. Il governo italiano dovrebbe sostenerle.