La Lettura, 10 dicembre 2017
La Britannia dei Romani (praticamente gli inferi)
«I Britanni non sono soliti prender decisioni tutti insieme», scriveva Tacito nell’ Agricola (98 d.C.), in cui descrive i popoli che abitavano l’odierna Gran Bretagna. «E questo per noi Romani è un grande vantaggio, perché sono molto forti. È raro, infatti, che anche due o tre piccoli villaggi si alleino per fronteggiare un pericolo comune. Così combattono separatamente, e vengono sconfitti».
Divide et impera, era il motto di Roma. E ora la conquista della Britannia, una delle campagne più lunghe e avvincenti dell’impero, è al centro di Britannia, la nuova produzione originale Sky firmata da Jez Butterworth, tra i più celebrati drammaturghi inglesi contemporanei, in prima visione in Italia su Sky Atlantic dal 22 gennaio. Dieci episodi, la seconda stagione già in fase di scrittura: una serie ambiziosissima, con protagonisti Kelly Reilly e David Morrissey. Ma in Britannia il dramma storico s’intreccia con il fantasy, per dar vita a quella che sulla carta è la risposta di Sky al Trono di Spade.
Dopo le spedizioni fallite di Cesare, Ottaviano e Caligola, la conquista romana della Britannia iniziò in maniera sistematica nel 43 d.C., sotto l’imperatore Claudio. Al senatore Aulo Plauzio (Morrissey) andò il comando supremo su 20 mila ausiliari e quattro legioni, una delle quali, la II Augusta, capeggiata dal futuro imperatore Vespasiano. Più che alle tappe storiche, però, Britannia è interessata al mito. «La storia è quasi sempre scritta da chi vince», ci dice il produttore esecutivo James Richardson. «Noi cercavamo un altro punto di vista. Perché Cesare aveva fallito? Che cosa, nei druidi, descritti per la prima volta nel De bello gallico, spaventava a tal punto i Romani che alcuni di loro, prima di sbarcare, si erano ribellati? E chi erano questi druidi, di cui sappiamo pochissimo, quasi tutti trucidati dai Romani pochi anni dopo l’invasione? La presa della Britannia ha cancellato parte della nostra cultura. Per questo abbiamo buttato via i libri di storia».
Rincara Jez Butterworth, uomo imponente con una grande barba che potrebbe passare per un druido. «Storici e classicisti si offendano pure», dice a «la Lettura». «Volevo raccontare lo scontro tra due culture, due civiltà, due religioni. Il sistema patriarcale e gerarchico romano e quello egalitario dei Celti, spesso guidati da donne. Fino al 43 d.C., l’impero romano si era esteso senza che i legionari attraversassero la Manica. I Romani erano superstiziosi, non meno dei Celti. Temevano che, se fossero annegati, la loro anima non avrebbe più trovato la via per l’aldilà. Invadere la Britannia era invadere l’Inferno». Per questo, ci dice, la sua vera ispirazione è stata Apocalypse Now, il film di Coppola liberamente tratto da Cuore di Tenebra di Joseph Conrad. «Film che non racconta il Vietnam, ma qualcosa di più profondo e personale. È un viaggio nell’anima. Allo stesso modo, il cuore nero di Britannia sono i druidi».
Aulo Plauzio come il colonnello Kurtz di Marlon Brando, quindi. Ma Britannia ha anche un linguaggio moderno, a tratti ironico, e musiche punk-hippie. «È una storia rock sullo spirito di ribellione», osserva Butterworth. «Molti la troveranno folle, altri l’ameranno. Oggi la tv, a differenza del cinema, permette di essere audaci». Così, nella scena iniziale c’è un rito sacrificale dove il druido reietto Divis (Nikolaj Lie Kaas) cade in uno stato di estasi sulle note di Hurdy Gurdy Man, hit del 1968 del cantautore Donovan. «Più che Spqr, è Wtf, che sta per What the fuck (Ma che c..., ndr )», ha ironizzato il «Times» in una recensione. Gli stati di allucinazione ritorneranno più volte nella serie, soprattutto quando c’è di mezzo Veran (Mackenzie Crook), il capo mistico dei druidi che spedisce i personaggi in viaggi onirici negli inferi. Tanto che qualcuno ha letto Britannia come metafora di un trip allucinogeno. Butterworth non smentisce, anzi scherza che la fruizione della serie potrebbe essere aiutata da una canna, ma il tema è più ancestrale. «Tutto, nella fede religiosa, è legato a stati di alterazione psicofisica. Anche durante la messa. Britannia è ambientata in un momento storico in cui gli stati di allucinazione erano validi e reali, e gli inferi un luogo molto vero».
Così, Aulo Plauzio non è solo un generale romano, ma anche un uomo in lotta con i propri demoni. «È una mina vagante», racconta Morrissey. «Spietato e spirituale. Divide e comanda, armando i Celti gli uni contro gli altri, ma presto la sua ossessione per i druidi, per il potere mistico di Veran, prenderà il sopravvento. Quella dei Celti, con il loro sistema di credenze che li rende quasi invincibili, è una magia profonda».
Tanti i personaggi femminili forti. Come Kerra (Reilly), figlia di re Pellenor, capo tribù dei Cantii, costretta a mettere da parte i contrasti con la rivale Antedia (Zoë Wanamaker) per guidare la resistenza contro Roma. «Tutte le donne di Britannia sono guerriere», dice Reilly, «Kerra non è una principessa da salvare. All’inizio della serie, cinque uomini le tendono un’imboscata: lei li uccide tutti». Così la regina Antedia, che impreca e ha il volto ricoperto di tatuaggi, ricorda Tina Turner in Mad Max. «Kerra avrebbe dovuto sposarne il figlio», spiega Reilly, «ma la notte delle nozze lo castra, e la rivalità tra tribù sfocia nel sangue». Anche i Romani sono feroci, come è evidente dalla sorte che Aulo Plauzio riserva al suo pupillo, plagiato da Veran, e ci si chiede chi siano i veri barbari. Ma se Tacito, nel discorso di Calgàco, critica l’avidità e la rapacità che contaminano Roma, lodando invece i Celti per il loro coraggio, Britannia, il cui motto è «Nessuno vuole essere civilizzato», non esprime giudizi. «I miei Celti non sono particolarmente puri, né i Romani venali», osserva Butterworth. «Il punto è lo scontro di civiltà: il momento in cui un’antica fede viene sostituita da volti e nomi nuovi».
Un tema già affrontato in Jerusalem, la sua pièce del 2009 con Mark Rylance. «Britannia è una guerra tra due pantheon: gli dèi romani e le divinità celtiche. Uno scontro mitico, visto da una prospettiva umana: sopravvivenza, coraggio, ambizione, vendetta. Le passioni per cui gli dèi ci hanno sempre amati». Così, se Butterworth giura che Britannia non è un’allegoria della Brexit, si pone come un bardo moderno, che esplora che cosa voglia dire essere britannici oggi. «La libertà e il coraggio di un popolo, ammirati da Tacito, sono ancora qualità degli inglesi. Come la loro follia e imprevedibilità».