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 2017  dicembre 10 Domenica calendario

Le rughe del cosmo spiegano la Genesi

Salendo le scale del West Bridge, uno degli edifici al centro del campus del California Institute of Technology (Caltech), un grande cartello introduce al cuore pulsante di Ligo (sigla inglese dell’Osservatorio interferometro laser delle onde gravitazionali). «Astronomy’s New Messengers», si legge. Nel 1609, Galileo puntava per la prima volta il telescopio verso il cielo, consegnando poi il resoconto delle proprie osservazioni alle pagine del Sidereus nuncius, il «messaggero delle stelle», un’opera che avrebbe cambiato per sempre l’astronomia, e con essa la visione che l’uomo aveva del cosmo e di se stesso al suo interno. Proprio come promette di fare ora Ligo, sebbene su una scala ben diversa.
In quattro secoli, l’osservazione dell’universo è infatti completamente cambiata: a parlarci dello spazio profondo, oggi, non è più soltanto la luce, o comunque una radiazione elettromagnetica, ma sono piccole increspature della trama dello spaziotempo. Previste da Albert Einstein nel 1916, all’interno della teoria della relatività generale, le onde gravitazionali sono state rilevate per la prima volta il 14 settembre 2015, dopo mezzo secolo di ricerche. E oggi, domenica 10, i tre principali rappresentanti di Ligo – un progetto comune ai maggiori centri di ricerca scientifica e tecnologica degli Stati Uniti, il Caltech di Pasadena e il Mit di Boston – ricevono il Premio Nobel per la fisica. «La Lettura» ne parla con due di loro, Barry Barish e Kip Thorne (il terzo è Rainer Weiss del Mit), alla vigilia della partenza per Stoccolma.
L’annuncio ufficiale è dell’11 febbraio 2016, quasi cinque mesi dopo la rilevazione. Immagino l’enorme cautela nel pubblicare una simile scoperta, ma che cosa è successo in quei mesi?
BARRY BARISH – Il procedimento di rilevazione e conferma dei dati è molto complesso, ed è stato necessario del tempo per verificare adeguatamente quello che era stato registrato dagli strumenti. Prima di trarre qualsiasi conclusione, occorreva rispondere a due domande. Innanzitutto: ci stiamo forse ingannando? Nei tre anni precedenti avevamo lavorato al miglioramento della sensibilità degli strumenti e allo sviluppo del codice per l’analisi del flusso di dati. Volevamo quindi essere sicuri che non si trattasse di un falso allarme generato dal sistema, di fatto ancora in fase di test. Abbiamo dunque proceduto a controlli incrociati per circa un mese. In secondo luogo: qualcuno sta cercando di ingannarci? I dati vengono rilevati indipendentemente da due laboratori (uno a Hanford, nello Stato di Washington, e l’altro a Livingston, in Louisiana), e poi inviati qui al Caltech. È praticamente impossibile manipolare i dati alla fonte, ma è possibile – anche se molto difficile – che qualcuno intervenga nelle successive fasi di elaborazione. Anche per escludere questa possibilità c’è voluto circa un mese. A metà ottobre abbiamo iniziato ad analizzare i risultati ottenuti, confrontandoli con quelli previsti dalla relatività generale, e anche questo lavoro ha occupato un mese.
KIP THORNE – Si tratta di un procedimento tipico, in fisica applicata. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i risultati non sono mai immediati. Specialmente se gli strumenti utilizzati sono così complessi e il gruppo di ricerca coinvolto nella lettura e nell’interpretazione è così ampio.
Non mancano, nella storia recente della fisica e della stessa ricerca delle onde gravitazionali, esempi di quanto la fretta sia cattiva consigliera.
BARRY BARISH – Io stesso ho vissuto in prima persona alcuni di questi eventi, e forse questo mi ha portato a essere molto più cauto. A metà novembre eravamo ragionevolmente sicuri che i risultati fossero reali e che si adattassero molto bene alla teoria della relatività generale. Abbiamo quindi iniziato a scrivere. La rivista «Physical Review Letters» ci aveva concesso uno spazio ampio e garantito un processo di peer review (revisione da parte di scienziati) rapido e confidenziale. Sebbene infatti iniziassero a circolare molte voci, non volevamo diffondere alcuna informazione prima di essere nella posizione migliore per difendere la nostra scoperta. Stendere un articolo con un migliaio di autori non è però semplice, e così abbiamo superato la data fissata dalla rivista per procedere entro le vacanze di Natale 2015. Proprio il 26 dicembre, tuttavia, si è avuta una seconda osservazione, che ha fugato ogni dubbio residuo. All’inizio del 2016 abbiamo quindi inviato l’articolo, ritoccandolo poi alla luce dei commenti dei referee, i revisori.
Il 12 febbraio è comparsa una vignetta sul «New Yorker». Su un ramo, un uccellino si rivolge a un altro: «Hai detto forse qualcosa? O sono stati due buchi neri che si sono scontrati?». Che cos’è un’onda gravitazionale, e quali informazioni porta con sé?
KIP THORNE – Mi piace pensare alle onde gravitazionali come a delle rughe, o increspature, nella trama dello spazio (o, più precisamente, dello spaziotempo). Possiamo pensare allo spazio come alla superficie di un lago in una giornata senza vento. Se infiliamo un dito nell’acqua e iniziamo a muoverlo, creiamo un treno di onde che prendono a estendersi a partire da quel punto. Si tratta di onde molto piccole, ma qualcuno, sulla riva del lago, potrebbe osservarle, e chiedersi che cosa le abbia provocate. Ligo fa esattamente questo, anche se le onde gravitazionali non sono corrugamenti della superficie di uno stagno, ma della struttura stessa dello spazio. Non saprei dire a parole che cosa sia lo spazio: posso però scrivere delle equazioni che lo descrivono, e con esso le onde gravitazionali che, attraversandolo, lo distendono e lo contraggono. Le onde musicali, oltre a dare emozione a chi le ascolta, portano con sé informazioni circa lo strumento che le ha prodotte e il mezzo che le trasporta: allo stesso modo, le onde gravitazionali portano con sé un tipo di informazioni del tutto nuovo sulla storia e sulla struttura dell’universo. Si tratta di onde molto deboli – quasi un impercettibile cinguettio, appunto. La vignetta del «New Yorker» ha colto benissimo questo punto: pur generate da eventi catastrofici quali la collisione di due buchi neri o la fusione di due stelle di neutroni, per «ascoltarle» occorrono strumenti sofisticatissimi, che solo di recente siamo riusciti a mettere a punto.
In che cosa consiste Ligo?
BARRY BARISH – Ligo, come Virgo (che ha sede a Cascina, a pochi chilometri da Pisa, ndr ), è un interferometro: una struttura con due bracci disposti a L, della lunghezza di quattro chilometri. La strumentazione si trova nel punto di congiunzione: da lì partono i segnali laser nelle due direzioni, che vengono riflessi al termine del loro percorso e ritornano quindi al punto di partenza. Se i bracci sono della medesima lunghezza, i due fasci rimangono in fase, cancellandosi reciprocamente all’origine. Se invece, per qualche motivo, non ritornano nello stesso momento, non si cancellano. Ligo si propone di misurare queste eventuali differenze in grande dettaglio, in funzione della frequenza e del tempo. Al passaggio di un’onda gravitazionale, si ha una distorsione dello spaziotempo: uno dei due bracci risulta più lungo e l’altro più corto, e viceversa, alla frequenza dell’onda gravitazionale. Noi misuriamo queste differenze.
Come in passato, il Nobel di quest’anno premia la fruttuosa collaborazione tra fisica teorica e fisica applicata, una collaborazione che proprio voi esemplificate al meglio. Qual è stato il vostro ruolo rispettivo all’interno del progetto?
KIP THORNE – Io sono stato uno dei fondatori del progetto: ho iniziato a lavorarci negli anni Sessanta, quando Rainer Weiss mi convinse della possibilità di costruire un sistema in grado di rilevare le onde gravitazionali. Ho scritto il primo progetto di Ligo e ne ho delineato la visione. Fino alla realizzazione dei grandi interferometri, a metà degli anni Novanta, Ligo è rimasto un esperimento da laboratorio universitario, portato avanti, al Caltech, da me e da Ronald Drever, che già collaborava con Weiss al Mit e fu portato a Pasadena dall’allora direttore di Ligo, Robbie Vogt. Sebbene abbia contribuito anche al lato sperimentale del progetto, aiutando nella progettazione della strumentazione, mi sono progressivamente concentrato su progetti di modellizzazione numerica e sulla stesura dei codici necessari per la programmazione dei computer destinati all’elaborazione dei segnali. Negli anni, ho sviluppato anche una certa abilità nello spiegare ai non specialisti – in particolare politici e finanziatori – i contenuti, le finalità e l’importanza di Ligo. Nel 2009 ho smesso di essere coinvolto direttamente nel progetto e mi sono concentrato sulla comunicazione della scienza. Dopo Interstellar, il film diretto da Christopher Nolan, ho iniziato a collaborare a un nuovo progetto cinematografico; sto poi scrivendo un libro con l’artista Lia Halloran, e ho in programma alcuni concerti con il compositore tedesco Hans Zimmer.
BARRY BARISH – Mi sono sempre occupato della fisica delle particelle elementari e ho lavorato con i grandi acceleratori. Quando il Caltech decise di entrare a far parte della sperimentazione sulle onde gravitazionali, mi fu chiesto di dirigere il progetto. Era il gennaio del 1994: Ligo stava attraversando un momento difficile, e si temeva non ricevesse i finanziamenti necessari. Scrissi allora una proposta, che fu approvata dalla National Science Foundation nell’autunno di quello stesso anno e che permise a Ligo di partire. Sono stato poi responsabile della realizzazione dei laboratori e dello sviluppo di strumenti sufficientemente sensibili da rilevare le onde gravitazionali. La sfida è stata duplice: da un lato, raggiungere il livello di sofisticazione tecnologica che pensavamo sarebbe stato necessario; dall’altro, assicurarci fondi che consentissero non solo di realizzare le strutture iniziali, ma di sviluppare una strumentazione flessibile, in grado di migliorare progressivamente.
Qual è la sensibilità attuale dello strumento? A quali frequenze lavora?
KIP THORNE – Sulla Terra siamo sostanzialmente in grado di coprire l’intervallo delle frequenze delle onde percepibili dall’orecchio umano: dalle decine alle migliaia di Hertz. In caso di frequenze più basse, queste verrebbero coperte dal «rumore di fondo» del nostro pianeta; mentre in caso di frequenze più elevate, avremmo bisogno di campionare i segnali sempre più velocemente, e non riusciamo ad andare oltre un determinato limite. La seconda fase del progetto, Advanced Ligo, è predisposta per raggiungere una sensibilità dieci volte superiore a quella di Ligo. Finora abbiamo raggiunto una sensibilità solo tre volte superiore, e un livello di isolamento sismico cento volte migliore del precedente: è stato questo a consentire la rilevazione delle onde nel 2015. Rimangono ancora ampi margini di miglioramento.
Alla prima osservazione ne sono presto seguite altre: gli eventi che provocano onde gravitazionali accadono con una certa frequenza, e la loro mancata rilevazione, in passato, dipendeva solo dalla nostra incapacità di individuarli. Fino a dove riusciamo a «vedere»?
BARRY BARISH – Si tratta di eventi molto frequenti nell’universo. Ne abbiamo osservati pochi perché per il momento possiamo spingerci fino a una distanza massima di 1Gpc (circa 30 mila miliardi di miliardi di chilometri, ndr ), molto piccola rispetto alle dimensioni dell’universo. Aumentando però la sensibilità degli strumenti di un fattore 3, come contiamo di fare nei prossimi 3-4 anni, riusciremo a coprire un volume 27 volte maggiore.
KIP THORNE – Ci auguriamo di scoprire nuove fonti di onde gravitazionali, per esempio, o di spingerci fino alle primissime fasi dell’evoluzione del nostro universo, oltre la soglia che lo studio della radiazione cosmica di fondo oggi ci impone. Penso, in particolare, alla nascita della forza elettromagnetica in una transizione di fase al principio dell’universo. Siamo solo all’inizio.
Quali sono i progetti per i prossimi anni?
BARRY BARISH – Sono in costruzione nuovi interferometri in Germania, in India e in Giappone: in quest’ultimo caso l’apparecchiatura sarà sotterranea, e le basse temperature potrebbero incrementare la sensibilità degli strumenti. Si tratta però di rilevatori del tutto simili a Ligo – incapaci cioè, per loro stessa natura, di rilevare frequenze più basse di una determinata soglia. Per rilevare onde gravitazionali generate da eventi cosmici molto lontano da noi, caratterizzate da frequenze molto basse, occorrerà spostare le misure direttamente nello spazio. Il progetto Lisa (Antenna interferometro spaziale per le onde gravitazionali) prevede proprio questo: una nuova generazione di rilevatori, dieci volte più sensibili di quelli progettabili sulla Terra – un salto di qualità simile al passaggio dall’astronomia ottica alla radioastronomia.
Lo studio delle onde gravitazionali potrà avvicinarci all’unificazione della teoria della relatività e della fisica dei quanti, due teorie di grande successo nei loro ambiti, ma ortogonali fra loro?
KIP THORNE – Lo studio delle onde gravitazionali ci permette innanzi tutto – a un livello mai tentato prima d’ora – di sottoporre a controllo la stessa relatività generale là dove essa è più importante, cioè in presenza di enormi campi gravitazionali. Cercheremo quindi di raccogliere quanti più dati possibile sui buchi neri: ci aspettiamo infatti che la teoria possa essere smentita in alcune sue conseguenze, pur minori. L’unificazione di relatività e fisica dei quanti costituisce il grande problema della fisica contemporanea: finora, il progresso in questo senso è stato quasi nullo. La ragione, probabilmente, è stata che i vari tentativi di unificazione sono stati fatti alla cieca, senza indicazioni concrete circa un eventuale punto di contatto. Forse, il passo decisivo avverrà quando i teorici potranno avvalersi di qualche indizio fornito loro dalla fisica sperimentale. E non posso pensare, in questo momento, a un migliore terreno comune di quello costituito dai buchi neri, dove si verificano effetti quantistici ed è presente una forte interazione gravitazionale. Forse, finalmente, siamo sulla strada giusta.