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 2017  dicembre 10 Domenica calendario

«Abbiamo vinto la guerra all’Isis». Ma il Califfo già cerca altri fronti

L’ultimo bollettino della vittoria lo ha diffuso il premier iracheno Haider al Abadi: lo Stato Islamico – ha dichiarato – è stato espulso totalmente dal Paese dopo tre anni di guerra. Annuncio che segue quello di Putin sulla «missione compiuta» in Siria e il cauto ottimismo americano. In effetti i seguaci del Califfo sono in ritirata, però gli esperti sono sicuri che «torneranno». È «un’illusione» pensare che sia finita. 
La sconfittaIl movimento ha perso oltre il 95% del territorio che aveva conquistato con un’incredibile offensiva. Otto milioni di essere umani sono stati liberati. E, aspetto rivelante, il Califfo non ha il controllo di centri abitati, località e assi strategici, ossia quello spazio dove imponeva le sue tasse, trafficava in cose e petrolio, gestiva un’amministrazione. In poche parole non è più «Stato». Alla base c’è un motivo semplice: l’Isis si è fatto troppi nemici. La sola coalizione a guida Usa ha scaricato oltre 103 mila ordigni con quasi 30 mila raid. A questi si sono sommati gli attacchi dell’aviazione russa nel teatro siriano, la pressione dei curdi e la campagna dell’Iraq. Come ha sottolineato lo studioso Mohamed Hafiz, i militanti hanno compiuto errori capitali, comuni peraltro alle realtà islamiste: 1) Manichei: hanno moltiplicato gli avversari, non hanno cercato accordi con chi poteva aiutarli. 2) Poco realismo: si sono impegnati in tattiche suicide, battaglie campali che non potevano sostenere. Hanno persino «litigato» con i qaedisti siriani. 3) Progetto sunnita: la loro caratterizzazione ha allontanato qualsiasi altra componente religiosa ed etnica. 4) Violenza indiscriminata: stragismo, persecuzioni, esecuzioni hanno eroso il consenso.
I numeriDei 40 mila combattenti del 2014 ne sono rimasti poche migliaia. L’ultimo dato americano parla di 3 mila uomini, anche se alla fine di novembre le cifre erano 1500-2000 in Iraq, 2500-5000 in Siria (a sud di Deir ez-Zour). Sono comunque valutazioni generiche in quanto bisogna aggiungere quella parte di popolazione che simpatizza con gli insorti. Un’analisi sostiene che i miliziani stranieri uccisi sarebbero quasi 7 mila e circa 5 mila sono finiti in prigione, ma diverse migliaia di combattenti sono svaniti. Sono quelli che preoccupano di più l’Interpol. I francesi, da parte loro, sostengono che almeno 500 connazionali si trovano ancora nel Levante, la metà sono donne. In Gran Bretagna ne sono rientrati 400 su 800, il 24% è sotto indagine: a questi numeri i britannici aggiungono un «bacino di radicalismo» ben più ampio, con quasi 20 mila figure potenzialmente pericolose.
Cooperazione
Gli Usa hanno aumentato la collaborazione con governi amici per contrastare la strada ai terroristi. Grazie all’intesa con 20 Stati è nata l’operazione Gallant Phoenix che permette di tracciare spostamenti, elementi sospetti, situazioni interessanti. Le informazioni sono raccolte, quindi disseminate con le forze di polizia. Questo per cercare di tappare i buchi emersi dopo gli attacchi in Francia e Belgio, con i criminali liberi di muoversi a piacimento e di creare basi avanzate. È una forma di setaccio non perfetto. Ancora oggi esistono varchi, i seguaci di Al Baghdadi girano come trottole dal Medio Oriente all’Asia. I pareri sul futuro però sono prudenti. Rientrare in Europa può essere rischioso, ormai volti e nomi sono noti, possibile che cerchino altri fronti dove collocarsi. I massacri nel Sinai egiziano confermano capacità di impatto e strategia dell’attenzione.
La contromossa
L’Isis tornerà alle origini. Punterà alla guerriglia usando il deserto iracheno come «foresta» dove nascondersi. Si affiderà a cellule in sonno rimaste in tutte le cittadine liberate. Lancerà attacchi terroristici e omicidi mirati. Il movimento vuole imporre una guerra d’attrito puntando su tre carte. La prima: settarismo, rivalità, incapacità degli attori locali di gestire il «dopo», le infinite tensioni regionali (Libia, Egitto, nodo di Gerusalemme, Yemen, duello Iran-sauditi). La seconda: il conflitto ha reso invivibili aree immense, i profughi sono milioni, complicato per i governi trovare risposte e risorse. Condizioni ottime per reclutare gli esclusi. La terza: l’idea lanciata dal Califfo è ancora forte, affascina i simpatizzanti all’estero. Resta da capire se il network, ora privo di roccaforti, conservi un’estesa capacità di ispirazione per ripetere quanto visto a Nizza, Berlino o negli Usa. Non serve molto, allo Stato Islamico basta un camion-ariete per dimostrare quanto sia letale.