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 2017  dicembre 10 Domenica calendario

Il destino non è solo nei geni

Adam Rutherford apre il suo libro con una frase celebre e reticente: «Si farà luce sull’origine dell’uomo e della sua storia». È l’unico accenno all’uomo nel capolavoro di Charles Darwin, L’origine delle specie. Cauto di natura, preoccupato di non indispettire i lettori dichiarando in modo troppo esplicito la parentela fra noi e le scimmie, Darwin aveva pensato bene di tenersi sulle generali. Sappiamo poi com’è andata: tanta prudenza non è servita a risparmiargli un secolo e mezzo di insulse polemiche. C’è però una buona notizia, scrive Rutherford: il futuro immaginato da Darwin è arrivato. Oggi siamo in grado di far luce su molti episodi del passato, perché sappiamo leggere il messaggio contenuto nel DNA che ci hanno trasmesso i nostri progenitori. 
Certo, di questo messaggio parecchio ancora ci sfugge. Spesso si paragona il genoma, cioè il complesso del DNA delle nostre cellule, a un testo, ed è una buona metafora: è un testo vastissimo in cui stanno scritte le istruzioni per lo sviluppo e il funzionamento del nostro organismo. Ne conosciamo l’alfabeto (cioè le quattro molecole che formano le catene di DNA e che indichiamo con le lettere A, C, G e T) e ne capiamo la grammatica (cioè il funzionamento dei geni, presi uno a uno). Siamo ancora molto ignoranti, invece, sulla sua sintassi, cioè su come geni diversi si influenzino a vicenda, e risentano di tanti fattori ambientali. Anche così, però, la tecnologia ha fatto grandi progressi, le informazioni disponibili sui genomi umani sono tante, e aumentano a un ritmo impressionante.
Dalla lettura dei genomi alla ricostruzione della storia di chiunque sia vissuto il passo è grande, e Adam Rutherford lo sa bene. Ma qui salta fuori un pregio di questo libro, non l’unico: il suo rigore. Rutherford racconta con evidente piacere storie affascinanti, ma si preoccupa sempre di ricordare al lettore i limiti della spiegazione scientifica: «Partendo dalla constatazione di questa complessità, e della nostra incapacità di comprendere, si sta facendo il possibile per capire almeno di cosa si parla quando si parla di genetica». 
Messo in chiaro che non tutto di noi sta scritto nel DNA, e che, anche se così fosse, le conoscenze attuali non ci permetterebbero comunque di comprenderlo (ci tornerà nel sesto capitolo), Rutherford comincia a snocciolare le sue storie, ed è un piacere ascoltarlo. Ci parla della tendenza umana a migrare e a mescolarsi con popoli diversi (nel capitolo 1, Una specie nomade e lussuriosa); dei primi europei, e poi dei secondi, dei terzi, eccetera (nel capitolo 2); di un’area secondo me secondaria della ricerca genetica, ma di alto impatto mediatico, cioè dello studio del DNA di personaggi famosi, da Jack lo squartatore a Riccardo III (nel capitolo 3); fino ad arrivare, nel capitolo 4, a uno dei temi più caldi: il concetto di razza, o meglio, scrive Rutherford, la «fine della razza».
È un tema su cui molto si è scritto; qui però viene affrontato con un taglio originale e convincente. La narrazione si distende, lascia spazio a confessioni personali. Figlio di madre indiana, Rutherford ricorda, con delicatezza e ironia, piccoli, significativi episodi di discriminazione razziale. E così, senza astio, con semplicità, si addentra nell’incerto territorio al confine fra razzismo e teorie biologiche della razza. «Per il genetista medio, le razze semplicemente non esistono. (…) Vedremo la profonda verità di questa affermazione, senza addurre motivazioni politiche, anche se è di fatto impossibile non sentire cos’è giusto e cosa sbagliato, o provare sentimenti di ingiustizia e di indignazione morale quando si parla di questi temi». 
Siamo alla fine della razza, spiega Rutherford, perché è ormai evidente come non ci sia “alcun gruppo umano che possa essere definito in base al suo DNA secondo criteri scientificamente attendibili”. Ci sono tante differenze genetiche fra persone diverse, certo: ma non ce n’è una che combaci con ciò che comunemente si definisce razza. 
Ignoriamo, si diceva, la sintassi del genoma. A come si piglino dei granchi colossali ignorando la nostra profonda ignoranza, Rutherford dedica il sesto capitolo del suo libro, Il destino è nei geni? La domanda è retorica, la risposta è un secco no. Tanta roba è scritta nei nostri geni, fra cui sicuramente maggiori o minori predisposizioni a sviluppare certe malattie, o a rispondere al trattamento con farmaci. Ma i tentativi di trovare un gene che spieghi caratteristiche complesse, come la criminalità, la timidezza o (peggio ancora) l’intelligenza hanno portato a risultati risibili. «Se in un titolo si legge “Scoperto il gene responsabile di X”, dove X sta per una caratteristica umana complessa, quel gene non è stato scoperto perché in realtà non esiste»: e questa, propone Rutherford, si potrebbe chiamare legge di Rutherford.
Non è il solo passaggio ironico di questo libro colto e piacevolissimo. Con i recenti sviluppi, per certi versi entusiasmanti, della ricerca genetica, c’è chi è caduto vittima di una specie di sbornia interpretativa, e ha cercato di spiegare di tutto. Si chiama determinismo biologico e ha una storia lunga e poco gloriosa, da Cesare Lombroso in qua. 
Prima di mettersi a raccontare storie su come e perché siamo diventati quello che siamo, bisogna però fare i conti con la perdurante incertezza su tante questioni fondamentali. Nel suo bestseller Da animali a dei (Bompiani 2015) Yuval Noah Harari se ne dimentica, e mischia in modo micidiale dati scientificamente solidi, dati deboli, speculazioni plausibili, speculazioni spericolate e sciocchezze, in un guazzabuglio in cui ci si perde. 
Rutherford questo errore non lo fa; non cerca scorciatoie e rimane con i piedi per terra anche quando deve trattare argomenti complicati, onestamente ammettendo ogni tanto di non vederci chiaro neanche lui. È, in fondo, la lezione di Darwin. Ciò che è plausibile non è sempre vero, ciò che è vero non è sempre dimostrato, ed è indispensabile saper distinguere: una lezione di stile e sobrietà che Rutherford ha capito, e su cui vale la pena di riflettere. 
(Adam Rutherford, Breve storia di chiunque sia vissuto. Il racconto dei nostri geni, Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 343, € 26)