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 2017  dicembre 09 Sabato calendario

Justin Gatlin: «Per anni sono stato il diavolo. Ora sono libero di divertirmi»

Grandi sorrisi, grandi respiri e scambi di sguardi con la fidanzata al tavolo del caffè con vista sul mare di Montecarlo: Justin Gatlin proprio non sembra il cattivo. Lo è stato, si è fatto quattro anni di squalifica per testosterone. Ha detto di essere stato usato da chi gli stava intorno, è uscito dal giro ed è tornato. Sperava di convincere il pubblico, di meritare la buona condotta ma non è successo mai fino a che si è preso l’oro mondiale nel giorno dell’addio di Bolt e lo stadio ha fischiato e poi si è fermato: «Credo di essere finalmente libero dal mio passato».
Cosa è successo su quella pista, in quei 100 metri?
«Era tutto apparecchiato per l’apoteosi di un uomo che meritava il tributo giusto per lui. Il pubblico era elettrico, volevano vedere Usain vincere per l’ultima volta. Era il suo addio, il suo palcoscenico, stavamo nello stadio in cui è stato incoronato leggenda ai Giochi di Londra e si sono sentiti scippati di un’emozione per colpa mia. Non ero previsto, non ero invitato».
Si è inchinato a Bolt per calmare la folla?
«No, è stato un gesto del tutto naturale. Sentivo che era mia responsabilità tenerlo al centro della scena. Avevo vinto io, ma restava il suo momento».
Lui l’ha sollevata e indicata, come dire «è il campione».
«Chiunque altro fosse riuscito a battere Bolt sarebbe impazzito, si sarebbe messo a saltare urlando, si sarebbe scordato di Usain, della gente, pure di sua madre. Ma io ho reso omaggio a Bolt, per lui e per la mia idea di sport. La gente continua ad abbinarmi a un errore, io però sono quello che crede nelle sfide spalla a spalla e dopo lo sparo ci sei solo tu e chi vuoi battere. Un altro te».
Il pubblico è andato oltre?
«Sì, poi c’è stato un cortocircuito e mi è sembrato che il destino mi avesse messo alla prova per portarmi proprio lì, nella seconda patria dell’uomo più amato dell’atletica. Mi hanno urlato contro, prima convinti, poi per protesta per aver guastato il finale della favola e alla fine si sono sentiti a disagio. Quel silenzio, dopo la bolgia... Credo sia un nuovo inizio. Sono stato il protagonista, il traditore, il reietto, adesso sono Gatlin e basta».
A che vita siamo arrivati?
«In questa stagione parte ufficialmente la terza».
Come sono andate le altre?
«La prima è stata eccitante, un oro dopo l’altro, ai Giochi e ai Mondiali: pura felicità. Non sapevo neppure cosa o chi avessi intorno, come si è visto in seguito».
Poi il buio.
«Sì. E la mia seconda carriera, il ritorno. Non era facile riprendere il livello lasciato».
Ci è riuscito ma nella parte del cattivo. Come è stato?
«Pesante, molto più complicato che essere il salvatore, ruolo toccato a Usain. Ho cercato di guardare dritto avanti a me, di comportarmi secondo le regole. Ho pagato per i miei errori, ma sapevo che la gente avrebbe continuato a rinfacciarmeli. Magari non così».
Mai pensato di ribellarsi?
«Avrei perso tutto la forza che mi serviva e messo chi mi amava nelle peggiori condizioni. Non ho scelto di essere il diavolo, ma la storia era quella ormai e molto oltre le mie responsabilità».
Nella terza vita cosa cambia?
«Nelle prime due è già successo il meglio e il peggio. Ora mi voglio divertire».
Non ha pensato a smettere dopo l’oro di Londra, al top?
«Per due secondi dopo il traguardo, al terzo ho cambiato idea. E, per inciso, voglio restare al top».
A 36 anni, con che motivazioni?
«Devi sempre trovarla dentro di te, magari c’è una possibilità che io proprio adesso mi possa migliorare. Fare il record americano, vincere un’altra medaglia olimpica».
Manca parecchio al 2020.
«Lo so e non metto certo quella data sul calendario. Vivrò ogni stagione come fosse l’ultima, così non mi costruisco scuse».
Cosa farà senza Bolt? L’ha lasciata sola in pista.
«Ci sono tanti pronti a grande cose, è già successo dopo Carl Lewis e Michael Johnson. Bisogna avere il coraggio di mettere l’asticella davvero molto in alto».
Questo è quello che farà l’atletica, ma lei che farà?
«C’ero prima, vediamo che succede dopo. Comunque è stato un privilegio incrociare Usain. Ricordo il suo primo record a New York, nel 2008. Ero ad Atlanta ed è stato uno choc, i compagni di club si sono spaventati, io ero euforico. Contavo i giorni che mancavano a una nostra sfida».
Ci ha messo parecchio per riuscire a batterlo in un grande evento.
«Nel 2015, come nel 2016 ero pronto fisicamente. Di testa no».
Cosa è cambiato nel 2017?
«Nei miei primi anni c’era la legge di Maurice Greene: i velocisti erano animali che si provocavano a vicenda. Ero rimasto a quella situazione, ma al rientro c’era la legge di Bolt e prima del via adesso sembriamo compagni di ufficio alla macchina del caffè. Niente più sguardi diabolici, si gioca si scherza: da pugili a ballerini. Ci ho messo un po’».
Che era preferisce?
«Ora è meglio. Ma non cascateci, è sempre un modo di fare selezione. Bolt ha reso l’atmosfera amichevole perché gli serviva. Lui deve essere rilassato per dare il meglio e ha portato tutti a comportarsi così. Però quello resta il momento in cui ci si pesa».
Prego?
«Senza offese, funziona un po’ come un cane che arriva in un posto sconosciuto per la prima volta e alza le orecchie, cerca di capire. Fa il giocherellone, poi ringhia un po’. Tu stai lì in mezzo e guardi lo show degli altri per capire chi bara, chi fa lo sbruffone, chi è davvero imperturbabile. Il tutto muovendoti come se non ti importasse proprio nulla. Per Bolt era così e poi si accendeva, altri barano».
Quanto conta questo gioco di ruolo?
«L’ottanta per cento della gara».
Ha ancora voglia di mettersi a giocare con dei ragazzini?
«Tanta. Non lo faccio per soldi. Potrei smettere, ho guadagnato parecchio, ho investito bene, ho una bella casa, una bella macchina, una ragazza che amo. Ma voglio stare lì e confrontarmi con questa nuova generazione»
Chi sarà il prossimo re della velocità?
«Non lo chiedete a me, mi sento ancora in carica. Ma so che gente come Coleman o De Grasse andrà sempre più veloce».
E lei?
«Mi sento 10 anni meno. Ho una mezza idea di andare ai Mondiali indoor, a marzo. E testarmi al coperto, mischiare le carte. È l’unico evento globale della stagione e io non ho tempo da perdere. Sono alla terza vita, non so quante altre ne avrò».