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 2017  dicembre 09 Sabato calendario

Ora il bitcoin è vera finanza. Debutta il primo derivato sulla valuta digitale, che aprirà l’ingresso ai grandi capitali

Il bitcoin diventa grande e fa il suo esordio sul palcoscenico della grande finanza internazionale. Con tutte le conseguenze – positive ma anche negative – della nuova maturità raggiunta. Da domani sera, sarà possibile “scommettere” sulle quotazioni della moneta virtuale più diffusa al mondo, ma senza doverla possedere come è avvenuto fino a questo momento. Come sarà possibile? Alla Borsa di Chicago, la più importante al mondo per lo scambio di opzioni sulle materie prime, partono le contrattazioni del future dedicato alla più diffusa delle monete virtuali. Si tratta di un riconoscimento importante, perché il bitcoin verrà trattato come il petrolio, l’oro o un qualsiasi listino di Borsa.
In positivo, significa che il bitcoin, d’ora in avanti, potrebbe avere un prezzo di riferimento molto più stabile e mettere così un freno alla sua volatilità. Ancora nelle ultime ore, il suo valore – monitorato su un sito specializzato come CoinDesk – è prima schizzato oltre 17 mila dollari, salvo poi precipitare fino a 14 mila dollari e infine assestarsi attorno a 15 mila. Ma su alcune piattaforme di scambio asiatiche (in particolare quella in Corea) è arrivato a toccare una punta massima di 19 mila dollari.
Ma diventare un punto di riferimento per la speculazione finanziaria ha il suo lato negativo: a partire da domani sera si potrà anche vendere bitcoin allo scoperto, puntando – di fatto – sulla discesa dei prezzi. In pratica, gli investitori potranno decidere che, a loro parere, i prezzi hanno corso fin troppo: non avrebbero nemmeno tutti i torti considerando che da inizio anno ha avuto un rialzo del 1.300 per cento.
Anche se la Borsa di Chicago ha accettato di mettere sul mercato un prodotto speculativo sul bitcoin (e anche il Nasdaq, il listino dei titoli tecnologici di Wall Street, ci sta pensando) il mondo della grande finanza si è spaccato. Solo due giorni fa la Futures Industry Association, in pratica la lobby dei grandi investitori sui derivati di cui fanno parte giganti come Goldman Sachs, Jp Morgan Chase e Citigroup, ha inviato una nota alle autorità di controllo in cui spiega perché il bitcoin non sarebbe ancora pronto a una contrattazione in Borsa. Il timore principale è che il mercato diventi illiquido da un momento all’altro. In altre parole, temono che non ci siano abbastanza bitcoin per garantire gli scambi, soprattutto nel caso di rovinose cadute dei prezzi: perché è vero che i derivati sono scambi “virtuali”, ma come per il petrolio deve poi esserci la materia prima alla base.
Il fenomeno, però, è tale che nemmeno le grandi istituzioni, politiche e finanziarie, che regolano l’economia mondiale possono esimersi dal prendere posizione. Nei primi anni di vita del bitcoin (comparso misteriosamente per la prima volta nel 2009) lo hanno ignorato o dipinto come una bolla. Ora non possono più farlo. La commissaria alla Concorrenza dell’Unione europea Margrethe Vestager, per esempio, ha ammesso di averlo messo sotto osservazione e non ha nascosto preoccupazione: «Vogliamo essere pronti ad eventuali criticità e problematiche che potrebbero insorgere». Molto più possibilista la Banca centrale americana: «È davvero prematuro parlare dell’emissione di valute digitali da parte della Federal Reserve, ma è qualcosa a cui stiamo pensando».