la Repubblica, 9 dicembre 2017
In cella con Mattia, il killer del tallio. «Li ho avvelenati ma sapevo i rischi che correvo»
Lo stesso sguardo di ghiaccio della sera dell’arresto, dei mesi in cui ha coltivato il piano del tallio nel segreto della sua stanza, trattando l’acquisto del veleno col nom de plume di Davide Galimberti. La stessa «aria di superiorità, come di sfida, di chi è convinto che comunque ne sa più di te e non lo fregherai» ( è il giudizio di chi lo ha incontrato in queste ore) che Mattia Del Zotto tiene coi suoi interlocutori, anche adesso che in una cella del carcere di Monza il suo destino prossimo si sta materializzando: gli interrogatori, le perizie, i colloqui con un avvocato che non ha scelto, il processo, lo spettro di una condanna all’ergastolo per aver ammazzato nonno Gio Batta, zia Patrizia e nonna Gioia Maria. Ai pochissimi che sono riusciti a scambiare due frasi col 27enne, a fare breccia nel suo muro di silenzio, Mattia consegna cinque parole da brivido, nella loro laconicità: «Sapevo i rischi che correvo». Poi si stringe nelle spalle e interrompe le comunicazioni. Anche perché Maria Pitaniello, direttrice della casa circondariale di via San Quirico, ha dato due direttive precise: sorveglianza a vista del detenuto ventiquattr’ore su ventiquattro e divieto di parlare col ragazzo per chiunque non sia medico, psicologo, agente penitenziario o espressamente autorizzato dalla direzione del carcere di Monza. I lacci alle scarpe sono stati tolti. La barba è ancora lunga.
Le frasi scambiate in queste ore con gli operatori non riguardano ovviamente i delitti al solfato di tallio. «Vorrei avere i miei libri», chiede Mattia Del Zotto, insistendo sul suo percorso di conversione triennale all’ebraismo che già aveva raccontato ai carabinieri della compagnia di Desio il 16 novembre scorso, il giorno in cui gli vennero sequestrati computer e cellulare e il suo progetto di sterminio degli «impuri» della sua famiglia cominciò a crollare. Ovviamente non gli potevano essere recapitati i testi custoditi nella sua stanza: gli investigatori ne hanno visti, senza però trovare altri simboli, bandiere o oggetti che testimoniassero l’adesione alla sua nuova religione, né tantomeno tracce di frequentazioni di sette (come sospettava mamma Cristina) o del fantomatico gruppo Concilio Vaticano II. Così in cella gli è stata portata una Bibbia, da leggere, se vorrà, nelle lunghe ore senza tv. Che saranno interrotte, stamattina, dall’interrogatorio di garanzia da parte del gip Federica Centonze, che ha firmato la sua custodia cautelare. Che il ragazzo parli, al momento, è una speranza molto vaga.