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 2017  dicembre 09 Sabato calendario

Brexit, la difficile strada verso l’intesa commerciale

Dopo nove mesi per arrivare a definire le linee guida per il divorzio tra Regno Unito e Unione Europea, la seconda fase che si sta per aprire rischia di essere altrettanto se non più complessa.
1 Il tempo è un fattore chiave, ma i negoziati possono essere lunghi
Se in generale arrivare alla sigla di un trattato commerciale può richiedere anni di negoziati, non rappresenta certo un buon viatico il fatto che i conservatori di Theresa May siano fortemente divisi sul tipo di rapporti economici che vogliono con gli ex-partner continentali. Un’incognita ancora più pesante è la questione del confine tra Irlanda e Ulster, di fatto rimandata alla fase due: complicazioni su questo fronte potrebbero avere ripercussioni sul negoziato commerciale. Il tempo però stringe: il divorzio si celebrerà a marzo del 2019, poi ci sarà un periodo di transizione di due anni, alla fine del quale si dovrà arrivare con l’accordo già pronto, altrimenti le relazioni commerciali rischiano di ricadere sotto le regole generali della Wto e di diventare molto complicate, come ha ricordato ieri il capo-negoziatore per la Ue, Michel Barnier, che però si aspetta di centrare il risultato in tre anni. E quindi in tempo. Se poi non fosse possibile, non sarebbe troppo sorprendente assistere a una proroga della fase di transizione, anche se la Ue dichiara di non essere disposta a rimandare troppo, anche per far pressione su Londra.
2 Il modello canadese: l’intesa più avanzata con Paesi extra-Ue
Il punto di riferimento, al momento, è l’accordo firmato da Ue e Canada (Ceta), dopo sette anni dall’inizio dei negoziati. Barnier lo ha ribadito ieri, spiegando di non vedere alternative, dato che Londra non vuole essere parte del mercato unico, dell’unione doganale o essere soggetta alla Corte Ue. Il Ceta è in vigore in via provvisoria dal 21 settembre del 2017, in attesa dell’approvazione dei Parlamenti degli Stati membri, essendo un accordo misto, che supera le competenze esclusive Ue. In questa categoria dovrebbe rientrare anche l’accordo con Londra. I tempi così si allungano: l’accordo commerciale con la Corea del Sud è entrato in vigore in via provvisoria nel 2011, ma l’iter di ratifica dei Ventotto è stato completato 4 anni dopo. Il Ceta è l’intesa più avanzata stipulata dalla Ue, ma la stessa May ha dichiarato di non essere soddisfatta e di puntare a una partnership profonda e speciale. Con il Ceta, il 98% dei prodotti è esente da dazi. L’intesa semplifica gli oneri amministrativi e prevede il mutuo riconoscimento delle certificazioni su una vasta gamma di prodotti. Il Canada apre il mercato degli appalti pubblici federali e municipali alle imprese europee (per il Canada il mercato europeo è già accessibile). Restano fuori dalla liberalizzazione i servizi forniti dal settore pubblico (educazione, cure mediche e servizi sociali). I fornitori europei di servizi (trasporto marittimo, tlc, ingegneria, servizi ambientali e contabilità) avranno accesso al mercato canadese. Vengono tutelate 173 indicazioni geografiche europee. L’accordo offre più facile mobilità ai dipendenti delle aziende e consente il riconoscimento delle qualifiche professionali. Il Canada limiterà la vendita di prodotti che imitano quelli tipici europei.
3 Il tribunale arbitrale che ha fatto litigare l’Europa 
Il meccanismo di risoluzione delle controversie (Isds) è il dossier che ha fatto scattare le proteste contro il Ceta. Entrerà in vigore solo dopo il sì dei Parlamenti. In caso di controversie tra investitore e Stato, le imprese possono portare lo Stato davanti a un arbitrato internazionale. Il Ceta stabilisce la creazione di un tribunale permanente, con due gradi di giudizio e giudici scelti da Canada e Ue, sorteggiati di volta in volta sui singoli casi.
4 Il modello norvegese: un legame troppo stretto?
Se le parti davvero volessero scegliere una partnership più profonda di quella regolata dal Ceta, si andrebbe in qualche modo verso il modello norvegese e verso un risultato paradossale. Oslo, attraverso l’adesione allo Spazio economico europeo (con Islanda e Liechtenstein), è parte del mercato unico Ue. Questo però comporta una serie di obblighi: il rispetto delle quattro libertà fondamentali della Ue (libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali); il versamento di contributi nel budget comunitario come contropartita per l’accesso al «single market»; l’adeguamento a normative e regolamenti del mercato unico a cui il Paese è tenuto, con l’eccezione di politica agricola, pesca, commercio estero. Il tutto senza che la Norvegia possa dire la sua, visto che – non essendo Stato membro – non ha diritto di veto al Consiglio europeo (quello che fino alla Brexit aveva la Gran Bretagna), non vota nei consigli dei ministri, non ha eurodeputati, commissari europei o membri della Corte di giustizia.