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 2017  dicembre 08 Venerdì calendario

Lindsey Vonn vs Donald Trump

Ai microfoni di Fox News, l’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Nikki Haley, colpisce a freddo quando negli Stati Uniti è quasi notte. Il tema: il problema della sicurezza degli atleti statunitensi all’Olimpiade di PyeongChang, in Sud Corea. Prima temporeggia: «Abbiamo sempre affermato che non abbiamo timori e che dobbiamo andare avanti nella normalità con le nostre vite. E i Giochi saranno la perfetta opportunità per tutti gli atleti di fare qualcosa per cui hanno lavorato tanto duramente. Prenderemo ogni precauzione possibile perché siano al sicuro». Poi a una domanda più precisa, la Haley lascia partire un missile che nessuno si aspettava: «Se è certa la nostra presenza ai Giochi? È una questione in sospeso, ne dobbiamo ancora parlare. Dobbiamo chiederci: come proteggeremo i nostri cittadini in quell’area?».
IPOTESI Adesso a decine di atleti Usa pronti a dar la caccia al medagliere coreano, tremeranno le gambe. E non certo per la fifa dei razzi a testata nucleare di Kim, ma per la paura di dover mandare in frantumi i propri sogni. Perché a due mesi dal via, un punto interrogativo (se pur minuscolo) di questo tipo è un colpo di frusta destinato a fare parecchio rumore. Per questo il Comitato Olimpico Usa, con tempestività, ha subito risposto con un messaggio rassicurante: «Né internamente né con persone del Governo, c’è mai stata una discussione sul fatto di inviare o meno la nostra delegazione ai Giochi. Supporteremo due team completi». Sulla stessa lunghezza d’onda, poco dopo, anche la Casa Bianca.

CASA BIANCA Sarebbe davvero clamoroso se, pur per ragioni totalmente differenti, dopo la sospensione della Russia da parte del Cio, in Corea non si presentasse neppure lo squadrone americano. Un’ipotesi comunque per ora remota. Ma la guerra (per ora) fredda con PyeongChang non è la sola a mettere i brividi all’amministrazione Trump. Fin da quando si è installato alla Casa Bianca, fra il Presidente e una grande maggioranza di campioni dello sport è sceso il gelo. Ieri mattina al folto gruppo di «dissidenti» si è aggiunta Lindsey Vonn. Poche frasi, ma taglienti. Quando Christina McFarlane, giornalista di Cnn, le ha chiesto come si sentisse a rappresentare gli Usa, il cui presidente è Trump, la bionda Lindsey dall’alto del glorioso curriculum (un oro olimpico, due mondiali e 77 vittorie in Coppa del Mondo), ha detto: «Rappresento la gente del mio Paese, non il Presidente». Per poi aggiungere: «Prendo l’Olimpiade e ciò che significa camminare sotto la nostra bandiera alla cerimonia d’apertura molto seriamente. Voglio rappresentare gli Stati Uniti al meglio, perché non credo che in questo momento ci siano tante persone al Governo che lo stiano facendo». Pochi giri di parole. Anche quando le è stato chiesto se accetterebbe l’invito di Trump alla Casa Bianca. La 33enne del Minnesota, all’inseguimento del primato di successi di Ingemar Stenmark, è stata persino più secca: «Assolutamente no. Ma prima dovrò vincere un oro. Anzi, no. Perché generalmente viene portata a Washington tutta la delegazione. Per cui, già ora posso affermare che non andrò».

CAMPIONI CONTRO Così Lindsey entra nel gruppo degli oppositori celebri, come Stephen Curry, due volte Mvp della Nba, il primo a esporsi ufficialmente lo scorso settembre: «Non andrò alla Casa Bianca» disse, provocando la stizzita risposta del tycoon. Ormai è una guerra fredda che si sta congelando sempre di più. L’aveva innescata Colin Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49ers di football, quando oltre un anno fa per primo abbassò un ginocchio durante l’esecuzione dell’inno Usa: protestava per le ripetute brutalità della polizia contro gli afro-americani. Al principio non tutti capirono il messaggio, ma oggi la sua popolarità (però è ancora senza lavoro, probabilmente ostracizzato dai proprietari della Nfl), è cresciuta in modo esponenziale. Qualche giorno fa la rivista Sports Illustrated lo ha premiato con il prestigioso Muhammad Ali Legacy Award e il suo esempio è stato seguito da decine di colleghi. Nomi potenti, come LeBron James. Che in un tweet di qualche mese si rivolse al Presidente, chiamandolo «straccione». Nessuno aveva mai osato tanto. Ora alla lunga lista si è unita la Vonn. Se gli Stati Uniti andranno in Sud Corea, la neve rischierà di diventare bollente.