Corriere della Sera, 8 dicembre 2017
Da Shakespeare ad Agatha Christie, quando l’arma è una pozione fatale
Più che «veleno», la parola è «pozione», origine latina da «potare», cioè bere (la tisana...). È vero che il veleno tradizionalmente si beve, ma la parola, derivata da Venere, designava nell’antichità una bevanda amorosa ottenuta dalla cottura di piante magiche capaci di accendere le passioni. Si narra che il poeta Lucrezio trangugiò un filtro d’amore afrodisiaco che lo portò alla follia e quindi al suicidio. Agatha Christie era una tale esperta di «poisons», avendo conoscenze farmaceutiche, che si è sbizzarrita ad armare i suoi assassini di un numero ragguardevole di veleni (stricnina, cianuro, coniina, morfina e altro). Tra questi il tallio, micidiale in tutte le salse, come ben sa Zacharia Osbourne, il farmacista occulto di un romanzo dai risvolti paranormali come Un cavallo per la strega («The Pale Horse», 1961): tra i sintomi che la scrittrice attribuisce a quel «topicida» c’è anche la caduta dei capelli, grazie alla quale il criminale verrà stanato. Tallio a parte, non si contano gli avvelenamenti letterari sin dagli albori mitologici per arrivare senza sosta all’età moderna: Medea elimina la rivale Creusa inviandole come dono di nozze una veste tossica; nell’Inferno dantesco i suicidi sono imprigionati tra alberi spogli di «pomi» ma carichi di «stecchi con tòsco»; Shakespeare fa morire re Giovanni intossicato da un monaco, Jago preferisce instillare nell’orecchio del re «pestilenze» di infamia, il padre di Amleto schianta per una dose di giusquiamo versatagli nel timpano dal fratello... Goldoni preferisce scherzarci sopra sostituendo le sostanze proditorie (tra cui una «panatella all’arsenico») e facendo fallire i peggiori propositi. Con una pozione fatale Bulgakov manderà all’altro mondo i due protagonisti de Il Maestro e Margherita. Non una tisana, ma una caraffa di vino Falerno: guardando il liquido contro luce, avverte il narratore russo, tutto assume il colore del sangue. Ma almeno quella bevanda mefitica aveva il pregio di avviare le vittime a una euforia eterna.