Il Messaggero, 8 dicembre 2017
Senza Alfano Ap verso la scissione. Chi vince tiene il simbolo
Per la scissione è ormai questione di ore. Il passo indietro di Angelino Alfano, la decisione di non ricandidarsi pur restando presidente del partito, ha avuto su Alternativa popolare l’effetto del big bang. Meglio: del tana libera tutti.
La conta, dopo un vertice ristretto in programma domani, è attesa per lunedì quando si riunirà la Direzione di Ap. Gli eserciti (i drappelli?) sono però già sul campo di battaglia. Da una parte il coordinatore Maurizio Lupi e i lombardi Roberto Formigoni e Raffaele Cattaneo che non ne vogliono sapere di stringere un’alleanza con il Pd. E predicano la necessità di costruire «un soggetto forte, moderato, di centro». In primis autonomo ma, a ridosso delle elezioni di marzo, destinato a finire tra le braccia di Silvio Berlusconi. Operazione più facile dopo l’addio di Alfano. «Le porte adesso sono aperte», ha già fatto sapere il Cavaliere, desideroso di bilanciare al centro un centrodestra dove Matteo Salvini e Giorgia Meloni continuano a «contare troppo».
Dall’altra parte c’è chi, a cominciare dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, ritiene che i cinque anni di governo con il Pd e «l’ardua impresa di aver salvato l’Italia strappandola alle secche della crisi economica», vadano tradotti in un’alleanza con Matteo Renzi. Su questa linea sono attestati Fabrizio Cicchitto, Sergio Pizzolante, Giuseppe Castiglione, Guido Viceconte, Laura Bianconi, Federica Chiavaroli.
In mezzo c’è Alfano. Il ministro degli Esteri, che sarebbe stato spinto al passo indietro anche dalla decisione di Lupi di rompere con il Pd, non ha sciolto la riserva. In un primo momento era per confermare l’alleanza con Renzi, ma Alfano non ha gradito che il segretario dem mercoledì (il giorno dell’annuncio) sia corso a dire di essere stato lui a convincerlo a non ricandidarsi. E ora riflette. Dice: «Scelga il partito». Dovrebbe scoprire le carte, da ago della bilancia, soltanto lunedì. Chi vincerà la conta terrà nome e simbolo di Ap. Chi uscirà sconfitto farà le valigie e se ne andrà.
Per ora Lupi tiene le carte (parzialmente) coperte. Non dice che punta al centrodestra. Ma lo fa capire. Derubricando i cinque anni di governo con il Pd a semplice «esperienza istituzionale». Predicando la necessità («questa è la strada che abbiamo davanti») di salvaguardare gli accordi con il centrodestra in Liguria e Lombardia (dove si voterà a marzo). Soprattutto è corso ieri a incontrare il leader di Direzione Italia Raffaele Fitto che ha rotto con Berlusconi dopo il patto del Nazareno, ma è restato e resta stabilmente nel centrodestra. Insomma, l’approdo è già definito. Tant’è, che Formigoni già fissa le condizioni dell’alleanza con Berlusconi: «Rivendichiamo orgogliosamente la nostra autonomia e identità. Non saremo succubi di Forza Italia. Vogliamo essere la componente cattolico-liberale-riformista del centrodestra con Fitto, Parisi, Cesa».
LA RISPOSTA DI BEATRICE Una svolta e un’accelerazione quella di Lupi, mal digerita dalla Lorenzin. Perché la Direzione di Ap appena qualche giorno fa ha votato contro il ritorno all’ovile forzista. E perché «Lupi dovrebbe avere il ruolo neutro del coordinatore». Da qui la sfida della ministra: «Se il progetto di centro autonomo è autentico», dice ai suoi la Lorenzin, «non solo ci sto, ma mi candido alla leadership». Ma già indica la vera road map insieme a Cicchitto: «Un’alleanza di governo durata 5 anni non è istituzionale, ha un valore politico. Tanto è vero, che abbiamo fatto numerose riforme di stampo moderato e riformista che hanno innescato la scissione della sinistra rancorosa e massimalista. L’alleanza con il Pd servirà a fermare i populisti a cinquestelle e un centrodestra a trazione leghista che porterebbe l’Italia al disastro».
Lunedì la resa dei conti. E la scissione. C’è da stabilire solo chi se ne andrà.