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 2017  dicembre 08 Venerdì calendario

«Non è vero che il tempo aggiusta tutto». Lina Wertmüller racconta la sua vita con lo scenografo Enrico Job


Ma come è possibile raccontare il mio amore con Enrico? I miracoli si vivono, non si raccontano». Nella penombra delle lampade liberty, stesa sul divano con una vestaglia di ciniglia rossa, Lina Wertmüller sembra un’invenzione di Enrico Job. Tutt’intorno giochi di specchi, manichini di stoffa, fantasie sceniche create dall’artista che per quasi mezzo secolo ha vissuto con la grande regista. Nel loro salotto, affacciato su Piazza del Popolo, è passata un bel pezzo della leggenda americana, da Robert Mitchum a Barbra Streisand ed Andy Warhol. Ed è rimasto celebre il dialogo tra Lina e uno spiritoso produttore statunitense davanti all’obelisco e ai riccioli barocchi della piazza. «Is it maestro Job’s decor? Yes, Job with Michelangelo for assistant». Gli occhiali bianchi sono sempre gli stessi, anche la risposta fulminante. Di diverso c’è l’età che incalza, con quella svanita leggerezza con cui civettano le donne intelligenti. «Ma quanti anni ho?». Il prossimo anno compie novant’anni. «Sono così vecchia?Non me ne ero resa conto». Un segno di giovinezza. «No, cara, un Nella foto la regista Lina Wertmüller, che l’anno prossimo compirà novant’anni, con il marito Enrico Job nel 1986 Lo scenografo è morto nel 2008 segno di rinco…».Sa la battuta che circolava sul vostro matrimonio? Per sposare Lina ci vuole la pazienza di Job.«Vero. Io ero una grande rompiscatole, ma anche Enrico lo era. Il nostro è stato un colpo di fulmine, un regalo della vita. O un regalo di Dio, per chi ci crede».E lei ci crede?«Non lo so, sono piena di dubbi».Il vostro primo incontro?«Eravamo stati invitati da un comune amico ma Enrico si fece si fece aspettare per un paio d’ore. “Ma lo sa che lei è uno stronzo?”, lo accolsi davanti all’ascensore. Lui si fece perdonare con la sua allegria».Lei 41 anni, Job 36. Già famosi nell’ambiente ma non ancora celebri.«Era il 1965. Io avevo già lavorato al cinema con Fellini. Prima di Enrico avevo conosciuto i suoi bozzetti di scenografo: godeva già di buon nome».Dopo il vivace scambio di battute che accadde?«Andammo a ballare tutti insieme all’Ottantaquattro, un locale dalle parti di via Veneto. Ballavamo un lento quando lo sentii dire tra sé e sé: “Si stringe bene”. Non ho mai capito cosa volesse dire. Mi sembrò un gesto affettuoso».Comprese subito cosa stava accadendo?«La sera stessa ebbi la sensazione di aver fatto l’incontro della vita. Con quella magica certezza che fosse per sempre. È un mistero, l’amore».Un mistero certo favorito dalla bellezza di Job.«Sì, un ragazzo fantastico. Biondo.Occhi azzurri. Lo chiamavo “lo studente di Praga”. Ma io non ho mai subito il fascino della bellezza. Fui colpita dalla sua anima nella quale intuivo antichi groppi di dolore.Aveva lasciato il mondo dell’arte per ragioni drammatiche e profonde».È riuscita a sciogliere quei grumi?«Chi lo sa. Posso solo dire che ci siamo amati molto. Enrico era un grande amico e uno splendido amante. Mi ha regalato emozione e – uso una parola stupida – piacere».Perché è una parola stupida?«Perché viene usata a sproposito, in eccesso».Lei non sembra una donna sentimentale. Mi viene in mente come la definì Henry Miller: «Il migliore tra i registi maschi». E a proposito di “Travolti da un insolito destino”: «Una scorpacciata di umorismo e sesso».«Mi consideravano un maschiaccio.Forse era vero, ma solo un po’».Eppure la canzone d’amore scritta per Job rivela un’insolita passionalità.Lina sembra scuotersi, si mette seduta sul sofà e accenna con la voce intonata e un po’ roca per le sigarette: «Mi sei scoppiato dentro il cuore all’improvviso, all’improvviso, non so perché, non lo so perché, sarà perché mi hai guardato come nessuno mai…».Un successo di Mina.«L’anno in cui conobbi Enrico lavoravo come autrice a Studio uno. Dopo il nostro incontro mi venne di getto questa canzone».I suoi film hanno raccontato l’amore in modo grottesco.«Sì, grottesco è stato lo stile del mio cinema. E grottesco era anche lo sguardo di Job che ha rivoluzionato le scene teatrali e cinematografiche. Era il nostro modo di raccontare la realtà, deformandola».La vostra è stata anche un’intesa professionale.«Ognuno era interessato al lavoro dell’altro, ed era già questo un atto d’amore. Se ho un rimorso è di averlo sottratto alle arti più nobili per il cinema. Lui era un vero artista, molto più di me».In che senso?«Non saprei definirlo. Come si fa dire che Cechov era più artista di Marinetti? Enrico era profondo e astratto. Io non mi sono mai sentita tale.E in che modo questo incontro l’ha cambiata?«I caratteri non si cambiano. Cambia invece la vita, ma non mi chieda in che modo. Prima di incontrarlo consideravo le feste una rottura di scatole. Enrico mi ha fatto scoprire il fascino dei cenoni con gli amici.Teneva molto alla sua Palazzina in Franciacorta, una bellissima casa che apparteneva alla sua famiglia dalla fine del Settecento. Lì abbiamo trascorso ore felici».Frequentavate Fellini e la Masina.«Federico era una cosa, la Masina un’altra. Per Fellini era una zia».Come sono le zie?«Molto simpatiche, ma è difficile provare per loro un’accensione erotica».A quegli anni risale anche l’incontro con Woody Allen. La chiamò per recitare la parte di sé stessa in “Io e Annie”: è la scena famosa in cui lui e Diane Keaton fanno la fila davanti al botteghino del cinema…«Sì, io però stavo girando da un’altra parte. E lui affidò la mia parte a Marshall McLuhan. Io per ridere gli avevo mandato un paio di occhiali bianchi: chiunque avrebbe potuto fare la Wertmüller».Quando lei e Job eravate già molto grandi, è arrivata vostra figlia Maria Zulima.«È arrivata, sì. Succede alle coppie che si vogliono bene».(In realtà Maria Zulima è nata dal concepimento di Enrico Job con un’altra donna, vicenda subito protetta dal riserbo di entrambi: anche nell’autobiografia pubblicata da Mondadori la regista ne parla come una figlia naturale. Titolo espressivo, Tutto a posto e niente in ordine).Oggi le fa compagnia?«Ma no, se lo facesse mi preoccuperei. È una ragazza di 26 anni, simpatica e intelligente. Ogni giorno passa a darmi un bacio. E io sono contenta così».Le capita di sognare Enrico?«No, io non sogno mai. So solo che mi manca in un modo assurdo».Sembra che il tempo non l’abbia abituata all’assenza.«Ma cosa vuole che faccia il tempo con questi vuoti che sono degli abissi. Il tempo non può fare niente.Può solo permetterti di capire che hai davanti un abisso».Lina WertmÜller resta in silenzio per un po’. Poi un sorriso perfetto, disarmante. «Guardi che non mi sto lamentando. Agli amici l’ho ripetuto mille volte: sappiate che, se mi piglia un colpo, me ne vado come un commensale sazio. Lo dicevo quanto mi dovevano accadere ancora tantissime cose: si figuri adesso».