la Repubblica, 8 dicembre 2017
E intanto Erdogan va alla conquista del Medio Oriente
«Ehi Trump, cosa stai provando a fare?». Il tono è brusco, diretto, come del resto l’usuale approccio del leader turco. E la crisi di Gerusalemme diventa la grande occasione di Recep Tayyip Erdogan. Insperata, dopo i recenti dissapori con l’amministrazione americana che quasi avevano messo la Turchia in un angolo. Ma al Sultano si può imputare di tutto, tranne il fatto di essere un animale politico dall’enorme fiuto. E con i Paesi arabi formalmente uniti nella condanna, ma concretamente divisi nella risposta, il presidente turco si è insinuato come un falco nella divaricazione, ergendosi a nuovo player del Medio Oriente.
Con un attivismo espresso a 360 gradi. Mentre ieri stava con un piede sulla scaletta dell’aereo che l’avrebbe portato in Grecia nella prima visita di un Presidente turco da 65 anni ( quando non era ancora nato), al mattino aveva già dispiegato la sua strategia mollando sul tavolo l’asso: la telefonata con il Papa. «Proseguo i miei colloqui telefonici non solo con i leader degli Stati arabi e musulmani. Perché Gerusalemme è sacra anche per i cristiani e devo discutere la questione con il Papa». La diplomazia turca gli aveva prontamente segnalato che Francesco si era detto a favore dello status quo nella Città santa. Una posizione che, secondo fonti ufficiali di Ankara, Erdogan avrebbe condiviso ieri pomeriggio con il Pontefice al telefono e poche ore dopo ha fatto lo stesso anche con il presidente russo Vladimir Putin.Allo Zar che il Sultano sente ormai più vicino dell’inquilino della Casa Bianca – da cui è rimasto deluso ( per appoggio ai curdi, mancata estradizione dell’imam Fethullah Gulen accusato del golpe, crisi dei visti consolari) – ha spiegato perché ha convocato il 13 dicembre in Turchia l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica. Quindi si è avviato verso altri colloqui telefonici, con i capi di Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania.Come un vero ras del Medio Oriente, il leader turco conosce difatti a menadito i personaggi che aleggiano nella regione. E al di là delle condanne formali da loro pronunciate, ha colto al volo le differenze fra l’asse che per convenienze di vario tipo sostiene Trump ( composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein, Egitto) e quello che lo avversa (Giordania, Iran, Siria, Iraq, Hezbollah). A tutti loro, il Sultano che guarda con nostalgia al ritorno dell’Impero ottomano ha detto: «Riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele equivale a gettare il Medio Oriente in un cerchio di fuoco». La Turchia si è subito riversata in piazza. Da Istanbul all’Anatolia, dal Mar Nero fino al Sud est.A mezzogiorno si è infilato sul jet di Stato e in meno di un’ora era ad Atene. Per una visita di 48 ore ricca di attese e nodi da sciogliere. Ha chiesto l’estradizione di otto ufficiali considerati golpisti. Suggerito “l’aggiornamento” del Trattato di Losanna che definisce i confini di Turchia e Grecia. Affrontato la questione dell’isola di Cipro. Poi, affari e commerci per gli interscambi bilaterali. Instancabile, stamane sarà nella regione della Tracia divisa a metà con la Grecia, per incontrare la minoranza musulmana e partecipare alla preghiera islamica del venerdì nella Moschea Vecchia di Komotini. Con l’obiettivo di compattare intorno a sé, nel segno della religione, tutti i seguaci. Quelli vecchi e i nuovi da conquistare.