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 2017  dicembre 07 Giovedì calendario

Morti misteriose. La tisana al tallio e l’ombra del killer in Brianza. Un giallo alla Agatha Christie

Nova Milanese «Sa come mi sento, in questo momento complicato? È come se la pioggia cadesse al contrario», dice Domenico Del Zotto, ed è la sintesi più efficace per descrivere quel qualcosa di letale, e d’incomprensibile, che da poco più di tre mesi sta uccidendo e avvelenando due famiglie. I Del Zotto e i Palma. Sono imparentati, abitano a Nova Milanese, paesone tra Monza e Desio. Le loro ville s’assomigliano, anche nell’intonaco beige, e sorgono a meno di un chilometro di distanza: quattro appartamenti in via Fiume, nel caseggiato dei Del Zotto, vicino alle Poste, e quattro in via Padova, a casa Palma, quartiere di villette.
Sinora, si contano tre morti tra i Del Zotto, tre persone di 94, 87 e 62 anni, padre, madre e figlia: il tallio, un metallo velenoso, usato in passato come topicida, e in vendita su Internet senza alcuna difficoltà, li ha spenti lentamente, inesorabilmente, tra la fine agosto e il mese di settembre. Come riassume Domenico, mai contaminato, «in una volta sola, ho perso papà, mamma e una sorella. L’altra sorella adesso è in riabilitazione. Nella mia famiglia d’origine e acquisita ci sono ben sette intossicati, più la badante, e io e mia moglie niente, e non so perché. Le ultime notizie, quelle sulla tisana avvelenata, le abbiamo apprese dai giornali».
Non è un caso. Attendendo in gran segreto i risultati delle autopsie e delle analisi, il gruppo di lavoro di carabinieri e magistrati tace con chiunque. E, dopo aver aperto un fascicolo che come titolo di reato riporta «omicidio colposo plurimo», centellina, quasi fossero sali di tallio, le poche notizie. Nessuno, ufficialmente, pronuncia la parola che molti pensano: assassinio. Ma se un assassino, o un’assassina c’è, bisognerà provarlo e documentarlo. La cosiddetta tragica fatalità non viene esclusa. E dunque, dove cercare?
Entrambi i caseggiati sono ordinati e puliti, quasi lucidi, con i fiori curati e l’orto: ma chi ci abita, tira avanti tra paure e preoccupazioni. Si sta sospesi tra l’incredulità e gli inevitabili sospetti, piegati dal lutto. In casa Del Zotto è tornato da pochi giorni, dopo tredici settimane d’ospedale, un sopravvissuto: è Enrico Ronchi, vedovo di Patrizia, la sorella di Domenico. Ci vede, nel primo pomeriggio, e chiude il cancello. Tiene le spalle curve, non risponderà al citofono.
In via Fiume esce Maria Rossi, è la cognata di Alessio Palma e Maria Lina Pedon, genitori della moglie di Domenico. Sono gli ultimi due avvelenati, finiti in ospedale oltre due mesi dopo i Del Zotto, a metà novembre. Cappotto chiuso, mani giunte, la signora è stupefatta: «Mio marito è il fratello di Alessio, è andato poco fa in ospedale, anche per sapere meglio, da lui e dalla moglie, hanno più di ottant’anni, questa stranezza della tisana al tallio. Io mi faccio le tisane da sola, con le erbe dell’orto, perché non bevo acqua, e adesso erbe non ce ne sono più, è finita l’estate, ma siccome ho una nipotina di quattro anni, ho deciso che fuori in giardino non la mando più a giocare. Ma lei che è giornalista sa se si tratta di una tisana comprata in un negozio? Se è così, com’è potuto accadere? Non dovrebbero esserci altri intossicati?».
La tisana avvelenata è un mistero e, insieme, una delle poche certezze. Il 4 dicembre l’istituto zooprofilattico Sperimentale di Torino «ha segnalato – così scrivono i carabinieri del capitano Mansueto Cosentino della compagnia di Desio nel rapporto al procuratore capo di Monza Luisa Zanetti – la positività al tallio in quantità superiore alla soglia minima di sicurezza su alcune “erbe da infuso” di provenienza erboristica, campionate dai tecnici» dell’Azienza sanitaria di Monza Brianza. Erano in una terrina, senza alcuna marca, trovata in un mobile accanto ai fornelli.
Prima del «riscontro positivo», il tallio era stato cercato nelle patate schiacciate in un purè: «Ne abbiamo mangiato molto», aveva detto la badante, Serafina Pogliani, 49 anni, sopravvissuta. Poi nell’acqua del pozzo artesiano; nel guano dei piccioni; nelle verdure del campo. Erano stati gli stessi avvelenati, ascoltati dai carabinieri, a lanciare le varie ipotesi. Tutte naufragate. Ma nel sangue del signor Giovan Battista, il più anziano, erano stati trovati 3,4 millilitri di tallio per litro. E nel sangue di sua figlia Patrizia, la sorella vegetariana di Domenico, oltre dieci volte di più: 44 millilitri, un’enormità.
Nemmeno adesso il primo indizio sicuro può risolvere, al di là della tisana, le tante domande sospese: com’è possibile che siano state avvelenati prima gli abitanti di un caseggiato e poi quelli di un secondo? Dov’è il nesso? C’è un fattore umano? Hanno tutti usato in momenti diversi lo stesso alimento contaminato?
«Chi veniva a casa nostra? Se qualcuno aveva immaginato il suicidio? Ma no, siamo una famiglia solare, ci vedevamo tra parenti, pochi amici, e veniva il parroco», dice Domenico. In un giallo di Agatha Cristhie, Un cavallo per la strega, è il parroco del paese il primo che muore, avvelenato dal tallio, con in tasca una lista di nomi di persone, in apparenza scollegati. Qui, a Nova Milanese, esiste al contrario una lista di persone strettamente collegate, ma sfugge la spiegazione plausibile: «Ho parlato con tutti, ho ragionato con tutti, nulla. A volte sono così frastornato – si lamenta Domenico – che penso che sarebbe stato meglio se fosse successo anche a me, come ai miei cari, di restare avvelenato».