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 2017  dicembre 06 Mercoledì calendario

Il «Che» puzzava come una capra

Che sudicione, quel Che. Alla rivoluzione aveva sacrificato ogni abluzione personale, alla necessità di fare pulizia nel mondo la sua stessa igiene. Le uniche macchie oscure, i soli punti neri nella biografia di Ernesto Guevara, almeno secondo la mostra milanese a lui dedicata alla Fabbrica del Vapore e aperta da oggi fino al prossimo 1 ̊ aprile, Che Guevara. Tu y todos, riguardano la sua trasandatezza e sporcizia. In un passaggio dell’esposizione, realizzata da Simmetrico Cultura, prodotta da Alma, RTV Comercial de L’Avana e Centro Studi Che Guevara de L’Avana e coprodotta dal Comune di Milano, riemergono le testimonianze della sua allora fidanzata, Carmen Ferreyra detta Chichina, che denigrava l’aspetto sciatto del Che. 
Il suo «abbigliamento», scriveva, «ci faceva ridere e vergognare», e con quelle «scarpe ai piedi» e quella «camicia di nylon», evidentemente non di ottimo odore, «ci pareva un obbrobrio». Di questa scarsa cura per la pulizia e il look era conscio lo stesso Guevara, che nella rivista Tackle, da lui fondata, utilizzava per sé lo pseudonimo Chang-Cho, parola vicina allo spagnolo Chancho, che vuol dire appunto «Il Sozzone».
Né brutto né cattivo, Guevara, al 
più solo sporco. Per il resto, il ritratto privato che vien fuori dalla mostra milanese è quello di un figlio felice («Era pieno di entusiasmo, con tanta voglia di correre», raccontava in una lettera il papà), di un fratello esemplare («Ernesto è stato quello che si occupava instancabilmente di me e della mia educazione», sono le parole della sorella Ana María), di un marito amorevole («Mia unica al mondo, ti porto nascosta nel mio zaino da viaggiatore instancabile», scriveva il Che in una poesia alla moglie Aleida, quasi a rendere meno dolorosa la partenza per la Bolivia che gli sarà fatale), 
Un brav’uomo, insomma, profondamente convinto che «il marxista» fosse «il migliore, il più onesto, il più completo degli esseri umani». Da qui anche la purezza della sua immagine pubblica, quella di avventuriero eroico, di cavaliere senza macchia che amava paragonarsi a Don Chisciotte: «Ancora una volta sento sotto i talloni le costole di Ronzinante; mi rimetto in cammino col mio scudo in braccio», scriveva ai genitori nel 1965. E la mostra contribuisce a questa narrazione edulcorata del suo profilo di combattente. «Al contrario dell’esercito di Batista», si legge in un pannello, «i barbudos (i rivoluzionari, di cui il Che era uno dei leader, ndr) non saccheggiano, non stuprano, non commettono violenze gratuite». Dei santi missionari, in pratica. Peccato che molti dei cosiddetti nemici del popolo, all’indomani della rivoluzione, siano stati messi a morte con processi sommari. «300 imputati sottoposti a giudizio, di cui 54 condannati alla pena capitale, e di questi 21 a febbraio (del 1959, ndr)», si legge. Ma, aggiungono i curatori della mostra, Guevara quel mese presenziò «solo a 9 processi». Ah be’, allora, non ce li ha tutti lui sulla coscienza, i morti del regime... Che poi, a essere sinceri, vere uccisioni non furono. Perché, come disse il Che all’Onu nel 1964 con un capolavoro di paraculismo, «fucilazioni ce ne sono state, omicidi non ne abbiamo commessi». E d’altronde, l’idealista Guevara fu quello che auspicava una guerra nucleare contro gli Usa, con il piccolo effetto collaterale che sarebbero crepati tutti i cubani. Ma almeno, disse lui, «le nostre ceneri sarebbero state il fondamento del mondo nuovo e il nostro sacrificio avrebbe significato la fine dell’imperialismo». 
Un utopista, dunque, capace di auspicare l’eccidio di un popolo, e in grado di provocare la morte di centinaia di nemici e combattenti che gli furono a fianco. Ma questo, agli occhi della giunta di Milano la stessa che continua a tollerare manifesti con il simbolo delle Br affissi un po’ ovunque in città deve sembrare un aspetto secondario. Così come deve risultare un dettaglio al figlio del Che, Camilo, presente ieri alla mostra. «La storia ha assolto mio padre», ci dice. «Anzi, lui ha trionfato. E, per quanto mi sforzi di cercare lati oscuri nella sua biografia, non riesco a trovarli perché lui era coerente». Certo, coerente come sanno esserlo solo i fanatici.