Corriere della Sera, 7 dicembre 2017
Addio a Jean e Johnny immortali di Francia
Caro Aldo,
con la scomparsa di Johnny Hallyday abbiamo perso l’Elvis di Francia. Noi avevamo Bobby Solo (e lo abbiamo ancora ) e Little Tony, mentre in Inghilterra a far sognare c’è Cliff Richards. In Germania, invece, non c’è nessuno ed è per questo che i tedeschi hanno un’adorazione speciale per Elvis.
Caro Marco,
Le confesso che il successo di Johnny Hallyday, che i francesi chiamavano Gionnì (ma si chiamava in realtà Jean-Philippe Smet), per me è sempre stato un mistero. Non capivo come il popolo più esigente e sofisticato (o raffinato? o schizzinoso? O snob? scelga lei) del mondo potesse idolatrare un cantante biondo tinto e liftatissimo, vestito di pelle e borchie, che cantava in inglese con accento parigino. Per capirne di più andai a un suo concerto, nel settembre 1998, allo Stade de France, quello dove i Bleus avevano appena vinto il loro primo e unico Mondiale. Ero in mezzo a un gruppo di adolescenti scatenati che sapevano tutte le sue canzoni a memoria, dai classici all’album appena uscito: «Allumer le feu», versione in ritardo di «Light my fire» di Jim Morrison, sepolto a Parigi al Père-Lachaise. Gionnì arrivò in elicottero. Cantò su un palco lungo cento metri, tra luci infernali e fumi da bolgia dantesca. Il pubblico lo amava alla follia, tipo Vasco da noi; anche se Hallyday, mutato il molto che c’è da mutare, mi ricordava semmai il nostro Celentano, almeno per la capacità di parlare a più generazioni. Portava sulla pelle tutti i decenni che aveva attraversato: i capelli lunghi anni 60 (poi li tagliò), i giubbotti neri anni 70, i muscoli da body-builder anni 80, l’orecchino e i buoni sentimenti dei 90, i tatuaggi cari ai millennials (ma lui se li era fatti fare in California da ragazzo). Alternava il rock agli omaggi ad Aznavour, il pop all’Inno all’amore di Édith Piaf. Con Sylvie Vartan aveva fatto pace. «È la voce del Paese che rifiuta la noia, la burocrazia, la routine» scrisse di lui Edgar Morin: nel 1963. «Solo la Francia ha Johnny Hallyday» disse l’insospettabile Charles Trenet: nel 1967. Ha venduto più di cento milioni di dischi: in media ogni famiglia francese ne ha cinque. Votava a destra e appoggiò un po’ tutti i candidati neogollisti alle presidenziali. E se n’è andato insieme a uno scrittore, Jean d’Ormesson, anche lui schierato con la destra repubblicana, con qualche rimpianto monarchico: un grande signore, sempre disponibile a interviste mai banali. Johnny, Jean: adieu.