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 2017  dicembre 07 Giovedì calendario

Il nostro sogni di libertà per lo Yemen

L’uscita di scena dell’ex presidente Ali Abdallah Saleh può portare a una svolta nella crisi che da anni vive il mio Paese, lo Yemen. È tempo che tutte le parti in causa in questa guerra, che sta affamando milioni di persone e ha portato lo Yemen sull’orlo della carestia, si interroghino sul futuro e facciano un passo nella direzione del dialogo. Ma è anche tempo che la comunità internazionale, e in particolare l’Unione Europea, faccia la sua parte facendo una pressione reale sugli Houthi, sull’Arabia Saudita e sui membri della coalizione guidata da Riad perché si assumano la responsabilità di quello che stanno facendo e delle migliaia di morti che hanno provocato.
La morte di Saleh ci permette di avere una possibilità di dialogo che prima non c’era. Il suo partito deve dimenticare di essere il partito di un dittatore, assumere un ruolo nuovo, quello di un vero movimento nazionale che fa uno sforzo per sedersi al tavolo del dialogo, dicendo no a ogni possibilità di successione interna alla famiglia Saleh. Il presidente Hadi deve aprire la strada per una trattativa a cui possano partecipare anche quelli che lo osteggiano, gli Houthi e i fedelissimi di Saleh. Gli Houthi da parte loro devono accettare di abbandonare le armi e costringere tutti i loro sostenitori a disarmare. Ma un ruolo importante spetta anche ai sauditi e ai loro alleati. È tempo che Hadi rientri in Yemen. Se davvero non è prigioniero a Riad, ma solo un ospite come dice l’Arabia Saudita, gli deve essere permesso di tornare. Inoltre è tempo di restituire agli yemeniti i porti, gli aeroporti, le strade e i territori che oggi la Coalizione guidata da Riad controlla, in modo che gli aiuti umanitari possano raggiungere la popolazione.
Alla comunità internazionale e in particolare all’Europa chiedo di smettere di chiudere gli occhi di fronte alle sofferenze della mia gente. Di chiedere conto all’Arabia Saudita e ai suoi alleati della loro politica in Yemen. Fino a questo momento di fronte alle bombe sganciate dai sauditi e dagli emiratini sul mio Paese ci sono stati sentimenti di indignazione, ma mai una vera protesta politica. Questo deve cambiare. E deve cambiare perché lo Yemen non ce la fa più. Sono lontana dal mio Paese da anni, ma ogni volta che vedo le immagini delle vittime dei bombardamenti, dei malati di colera o delle migliaia di persone che soffrono la fame il mio cuore piange.
Nel 2011 abbiamo sognato di costruire una nuova nazione, fondata su principi democratici e sulla legalità. Il nostro sogno non è morto e non morirà, anche se in questi mesi abbiamo vissuto una controrivoluzione che ha cercato di soffocare le nostre aspirazioni nel sangue. Quello che sta accadendo a me e alle persone che insieme a me per mesi sono state in strada a chiedere cambiamento, è il risultato del silenzio della comunità internazionale e delle tensioni fra l’Iran e l’Arabia Saudita.
Questa tragedia non è stata provocata dal nostro sogno di libertà, come qualcuno vuole far credere, ma dalla volontà di distruggerlo. A chi aveva in mente di piegarci voglio dire che in fondo a ogni tunnel c’è la luce. Noi yemeniti stiamo pagando un prezzo altissimo per la libertà e la democrazia, ma siamo disposti a farlo. Continueremo a lottare e a sognare. Forse non vedremo noi i risultati di questi sforzi, ma lo faranno i nostri figli. E in nome loro sarà valsa la pena di soffrire tanto.