la Repubblica, 7 dicembre 2017
L’amaca
Neanche se avesse organizzato il concorso di Miss Tette alla Mecca, Donald Trump avrebbe suscitato, nel cosiddetto consesso mondiale, una disapprovazione simile a quella prodotta dallo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme.
Si trattasse solamente di essere arroganti, ci saremmo anche abituati.
Qui lo sgomento ha qualità diversa: si sospetta il gesto di un grosso scemo, e se l’arroganza è componente distintiva di tutti i poteri, o quasi, la scemenza aggiunge elementi di rischio imponderabili.
Siamo di fronte al fattore S, fin qui coltivato, in relazione al potere, soprattutto dalle menti satiriche, dal Grande dittatore di Chaplin (Hitler vi figura come un omarino reso ebete dal narcisismo) al cattivo minorato di Balle spaziali di Mel Brooks, che gioca con i soldatini. Questo qui, invece, è davvero il presidente degli Stati Uniti, ha davvero la bomba atomica, crede davvero di avere ragione, è perfino convinto di essere molto ben pettinato e di essere un uomo affascinante, e non per caso la sceneggiatura del kolossal chiamato Storia del mondo ha deciso di contrapporgli, negli ultimi mesi, il buffo Kim, una specie di manga ridanciano e sadico, un cartoon. Siamo dunque trasmigrati, tutti quanti, a Cartoonia? E senza saperlo? Senza nemmeno avere firmato una liberatoria?
E avremo almeno il vantaggio, in futuro, di morire solo per finta, anche se ci passa sopra un carrarmato, come Wile Coyote o Bugs Bunny?