Corriere della Sera, 7 dicembre 2017
È l’anno di chi ha rotto il silenzio. Time sceglie le donne di #MeToo
WASHINGTON La sera del 15 ottobre l’attrice Alyssa Milano è al telefono con un’amica. Commentano il racconto di Ashley Judd, pubblicato qualche giorno prima dal New York Times. Nel 1997 il produttore Harvey Weinstein, il boss di Hollywood, l’aveva molestata, assalita, buttata sul letto. Ashley, allora ventinovenne, era riuscita a scappare dalla stanza di albergo di Beverly Hills. Per vent’anni aveva cercato di farsi ascoltare, aiutare. Ora aveva deciso di parlarne con il quotidiano di Manhattan. Anche Alyssa aveva vissuto un’esperienza simile. «Lo scrivo su Twitter», confidò in quella telefonata. «Bene, perché non usi l’hashtag #MeToo? Lo ha inventato dieci anni Tarana Burke». Consiglio accettato. Alyssa lanciò un messaggio prima di andare a dormire: «Se anche voi siete state sessualmente molestate o assaltate, scrivete “me too” in risposta a questo tweet». La mattina dopo Alyssa contò più di 30 mila repliche. Una folla, che rapidamente è diventato un fenomeno travolgente, trasversale e universale.
«Un movimento», il più importante degli ultimi anni, scrive il settimanale Time, che ha scelto di dedicare la copertina più ambita, la «Persona dell’anno», ai «Silence Breakers». Sono le donne e anche qualche uomo che nel 2017 hanno avuto il coraggio di spezzare il silenzio, l’omertà sugli abusi sessuali. Sulla cover figurano cinque ritratti: Ashley Judd, appunto, la prima star a venire allo scoperto insieme con la collega Rose McGowan; la cantante Taylor Swift; Susan Fowler, ingegnere di Uber; Isabel Pascual, contadina nelle piantagioni di fragole; Adama Iwu, lobbysta californiana. Cinque donne con vite, aspirazioni, possibilità completamente diverse. Ma che si sono ritrovate insieme, nella «battaglia dell’anno», a ricordare pubblicamente le proprie esperienze personali di vittima.
Il caso Weinstein, osserva Time nella lunga inchiesta, «ha fatto venire giù una diga che ha retto per decenni», con un impatto sulla società, non solo americana, superiore a quello di Donald Trump e del leader cinese Xi Jinping, la seconda e terza opzione considerate dal magazine.
Negli Stati Uniti lo scandalo si è trasformato in rabbia a partire dall’ottobre del 2016, quando venne diffuso il nastro sulle battute volgari e sessiste di Trump, allora candidato alle presidenziali. «Quando sei una celebrità con le donne puoi fare quello che vuoi», eccetera. La rabbia è diventata politica il 21 gennaio del 2017, con l’immensa «Marcia delle donne» a Washington, in altre 50 città americane e nelle principali capitali del mondo. Poi sono arrivate le denunce multiple a carico di Bill O’Reilly, l’anchorman di Fox News, il più popolare d’America. E sulla scia dei tweet di Alyssa Milano, ecco i «MeToo» di Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow e tante altre. Nell’elenco c’è anche Asia Argento.
Il risultato di tutto ciò è clamoroso. I predatori sono stati brutalmente tirati giù dal piedistallo. Dallo spettacolo al Campidoglio: Weinstein estromesso perfino dalla sua società; il senatore democratico Al Franken affondato dalla richiesta di dimissioni presentata dalle colleghe del suo stesso partito; il giornalista-conduttore Matt Lauer cacciato dalla Nbc, la televisione dove proprio ieri il direttore di Time, Edward Felsenthal, ha svelato la scelta dell’anno.