Corriere della Sera, 7 dicembre 2017
I Giochi dei superstiti
Niente vendette, niente proclami. Impegnato nella caccia al quarto mandato alla guida di Madre Russia, Vladimir Putin ha commentato l’esclusione del paese dai Giochi olimpici invernali di Pyeongchang con toni quasi soft. «Devo ammettere – ha spiegato ieri il presidente, arringando una platea di operai – che le nostre colpe hanno creato un pretesto importante per chi doveva decidere. Ma quel pretesto è stato usato in modo sleale: la responsabilità collettiva nel doping non esiste».
Il Cio la pensa diversamente: mille atleti inseriti per almeno cinque anni in programmi farmacologici tanto sistematici quanto fantasiosi (compreso il brevetto di un cocktail a base di steroidi e Chivas per gli uomini, Martini per le donne), 25 partecipanti ai Giochi di Sochi già squalificati a vita. E poi 1.700 provette scomparse, centinaia «neutralizzate» nottetempo con sodio e potassio oltre a una serie di testimoni autorevoli e attendibili hanno convinto i signori dello sport che negli ultimi anni innocenza e virtù sono state materie rarissime nello sport russo. E i 15 milioni di dollari di sanzione risarciranno due anni di costose investigazioni e permetteranno di ricostruire ex novo la macchina dell’antidoping nazionale, adesso ridotta a un colabrodo.
Ora il problema è un altro. Distrutta la Russia degli sport invernali, tocca costruire rapidamente quella strana entità chiamata Oar (Olympic Athlete from Russia) con cui martedì il Cio ha cercato di salvare la faccia dell’impero. Un plotoncino di atleti, così ha deciso Losanna, che il prossimo febbraio sfileranno e gareggeranno in Corea del Sud sotto la bandiera olimpica, selezionati ad assoluta discrezione di un panel di esperti sulla base di criteri etici tanto rigorosi quanto vaghi. Il problema è che prima dei Giochi di Rio la selezione (nell’atletica, il solo sport che praticò il bando totale) avvenne scegliendo chi (ovviamente senza macchia) viveva e si allenava all’estero, lontano dagli stregoni di stato. La quasi totalità dei russi che praticano gli sport invernali, invece, dimora nel paese. Come si potrà, si chiedono in molti, escludere dai Giochi la stellina diciottenne del pattinaggio di figura Evgenija Medvedeva, bicampionessa mondiale ed europea, che ai tempi nerissimi di Sochi 2014 era soltanto una bambina? Che garanzie si hanno sulla sua pulizia, si domandano altri, considerato che Evgenija è un prodotto tipico della filiera sovietica e non è mai uscita dal suo Paese se non per gareggiare? La scelta sarà orientata da Valerie Fourneyron, ex ministra dello Sport francese e attuale capo dell’autorità di controllo dell’agenzia antidoping mondiale.
Boicottati per ripicca dalla tv russa, senza gli ex sovietici i Giochi invernali cambieranno faccia. A Sochi i russi dominarono il medagliere con 33 podi, ridotti a 22 dopo i controlli sulle provette scongelate. Stando agli attuali ranking mondiali di specialità, sui 102 eventi in cui in Corea verranno assegnate le medaglie ce ne sono almeno 35 dove i russi avrebbero potuto puntare a un posto tra i primi cinque o a medaglie. Sci di fondo, pattinaggio di figura e di velocità saranno sfigurati dalla loro assenza o, dipende dai punti di vista, torneranno finalmente a essere combattuti ad armi pari da atleti puliti. La confusione aumenta a causa dei comportamenti delle singole federazioni internazionali che non sembrano voler fare nulla per aiutare il Cio. Quella del bob, ad esempio, rifiuta di accogliere l’invito a squalificare Alexander Kasyanov, che il Comitato olimpico internazionale ha privato del quarto posto a Sochi per doping conclamato. Non abbiamo strumenti giuridici, spiegano i padroni del ghiaccio. Kasyanov la settimana scorsa ha vinto la prova di Coppa del Mondo in Canada.